sabato 16 gennaio 2010
Il sacerdote nei riti iniziali della Santa Messa (padre Paul Gunter)
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Il sacerdote nei riti iniziali della Santa Messa
Rubrica di teologia liturgica a cura di don Mauro Gagliardi
ROMA, mercoledì, 13 gennaio 2010 (ZENIT.org).
In questo articolo, con cui riprendiamo nel nuovo anno la nostra rubrica, padre Paul Gunter, Docente presso il Pontificio Istituto Liturgico e Consultore dell'Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice, ci offre una panoramica efficace sul ruolo del sacerdote celebrante nei riti iniziali della Messa, mettendo a confronto i due Messali attualmente in vigore: quello della forma ordinaria e quello della forma straordinaria del Rito Romano (don Mauro Gagliardi).
***
padre Paul Gunter, OSB
Nella prima parte della Messa, i riti sembrano parlare di per se stessi. Non siamo ancora giunti alla Liturgia della Parola, che proclama la Sacra Scrittura, né abbiamo ancora preparato l'altare per il Sacrificio. Nondimeno, in qualche modo abbiamo già fatto queste cose, perlomeno nella disposizione interiore del sacerdote. Quando si compiono i riti iniziali, sono infatti già stati posti diversi atti, sebbene non visibili all'assemblea. E sono questi che non solo fanno da sfondo a ciò che di più santo esiste, ma anche determinano nella vita di un prete il modo col quale egli si presenta all'appuntamento con l'altare, sicché le preoccupazioni della vita quotidiana non facciano guerra alla sacralità raccolta, che è richiesta dalla celebrazione della Santa Messa.
Il sacerdote ha fatto la sua preparazione privata, che è delineata nel Messale sia della forma ordinaria (o di Paolo VI), che di quella straordinaria (o di san Pio V). La distinzione tra le due forme è qui evidenziata non solo perché esse rappresentano l'uso corrente del Rito Romano, ma anche perché si complementano a vicenda nello scopo di «far crescere ogni giorno di più la vita cristiana tra i fedeli; di meglio adattare alle esigenze del nostro tempo quelle istituzioni che sono soggette a mutamenti; di favorire ciò che può contribuire all'unione di tutti i credenti in Cristo»[1]. La Praeparatio ad Missam di entrambe le forme ha in comune una preghiera di sant'Ambrogio, una di san Tommaso d'Aquino ed una preghiera alla Beata Vergine Maria[2]. La «formula di intenzione» ricorda al sacerdote che egli consacra il Corpo e il Sangue di Cristo a beneficio di tutta la Chiesa e per tutti coloro che si sono raccomandati alle sue preghiere. Siccome questa preghiera si trova in entrambe le forme del rito, è chiaro che tutte e due mantengono la dimensione ecclesiologica della Messa[3]. Anche il sacerdote che celebra in privato non celebra la Messa solo per se stesso. L'IGMR 93, nello spiegare ciò, descrive anche le disposizioni che deve avere il celebrante:
«[...] il presbitero, che nella Chiesa ha il potere di offrire il sacrificio nella persona di Cristo in virtù della sacra potestà dell'Ordine[4], presiede il popolo fedele radunato [...], ne dirige la preghiera, annuncia ad esso il messaggio della salvezza, lo associa a sé nell'offerta del sacrificio a Dio Padre per Cristo nello Spirito Santo, distribuisce ai fratelli il pane della vita eterna e lo condivide con loro. Pertanto, quando celebra l'Eucaristia, deve servire Dio e il popolo con dignità e umiltà, e, nel modo di comportarsi e di pronunziare le parole divine, deve far percepire ai fedeli la presenza viva di Cristo»[5].
Di conseguenza, i riti iniziali suppongono che il prete arrivi all'altare pronto a svolgere le sue sacre funzioni. Allo stesso tempo, non ci si aspetta di meno dal popolo di Dio: i fedeli presenti devono unire se stessi all'azione della Chiesa ed evitare ogni atteggiamento di individualismo o di divisione[6]. «Questa unità appare molto bene dai gesti e dagli atteggiamenti del corpo, che i fedeli compiono tutti insieme»[7].
I riti iniziali nella forma straordinaria
La forma straordinaria, mentre ci ricorda che il sacerdote che indossa i paramenti si avvicina all'altare dopo aver fatto i necessari atti di riverenza, si preoccupa anche di illustrare la cura con la quale il celebrante deve fare il segno di croce[8]. I riti iniziali della forma straordinaria, più estesi di quelli della forma ordinaria, sono composti innanzitutto dal Salmo 42 con la sua famosa antifona Introibo ad altare Dei ad Deum qui laetificat iuventutem meum, recitata tra il prete e il ministrante. Il Confiteor è pregato due volte, la prima dal sacerdote e la seconda dal ministrante, che recita anche il Misereatur dopo il Confiteor del sacerdote. Dopo il secondo Confiteor, il Misereatur - che è stato conservato nella forma ordinaria della Messa, ma che lì domanda il perdono dei peccati in genere, invece di evidenziare la distinzione tra i peccati del sacerdote e quelli del popolo - è seguito dalla formula Indulgentiam, durante la quale il sacerdote fa il segno di croce, mentre prega per la remissione dei peccati di tutti. Seguono alcuni versetti dal Salmo 84. Guéranger descrive il loro scopo in questo modo:
«La pratica di recitare questi versetti è molto antica. L'ultimo ci trasmette le parole di Davide, il quale, nel suo Salmo 84, prega per la venuta del Messia. Nella Messa, prima della Consacrazione, noi attendiamo la venuta di Nostro Signore, così come coloro che vissero prima dell'Incarnazione avevano atteso il Messia promesso. Non dobbiamo comprendere la parola "misericordia", che si trova qui perché usata dal Profeta, come riferita alla bontà di Dio; al contrario, noi chiediamo a Dio che accordi di inviarci Lui, [...] il Salvatore, dal quale attendiamo su di noi la salvezza. Queste poche parole del Salmo ci riportano indietro, nello spirito, al tempo di Avvento, nel quale noi invochiamo continuamente Colui che deve venire»[9].
Il sacerdote, nell'ascendere all'altare, dice in segreto l'orazione Aufer a nobis, pregando che Dio possa rimuovere i nostri peccati e che le nostre menti possano essere ben disposte nel momento in cui entriamo nel Santo dei Santi. Dopo, bacia l'altare e prega - invocando i meriti dei santi, in particolare di quelli le cui reliquie si trovano nell'altare - che Dio sia indulgente verso i suoi peccati. Nella «Messa alta» [Messa solenne], il prete incensa il crocifisso e poi l'altare[10] e lo fa in modo tale da coprire di incenso ogni parte dell'altare. Un diagramma del Messale descrive il modo preciso in cui ciò va fatto. Questo atto ci ricorda che l'altare rappresenta Cristo. Dom Guéranger riporta il significato scritturistico di quest'uso:
«La santa Chiesa ha preso in prestito questa cerimonia dal Cielo stesso, dove l'ha contemplata san Giovanni. Nella sua Apocalisse, egli ha visto un angelo ritto in piedi, con un incensiere d'oro, presso l'altare sul quale si trovava l'Agnello, circondato dai ventiquattro vegliardi (cf. Ap 8,3-4). Egli ci descrive quest'angelo mentre offre a Dio le preghiere dei santi, che sono simboleggiate dall'incenso. Perciò la nostra santa Madre, la Chiesa, la Sposa fedele di Cristo, desidera fare come si fa in Cielo»[11].
I riti iniziali nella forma ordinaria
La forma ordinaria del Rito Romano inizia enfatizzando la presenza del popolo radunato, prima di menzionare la processione del sacerdote e dei ministri verso l'altare, processione accompagnata dal canto introitale. La sostituzione degli inni con le antifone di introito e di comunione ha in effetti implicato la perdita di questi testi propri della Messa. Sebbene essi siano stati tradotti nelle lingue vernacole assieme agli altri testi, è in verità raro sentirli cantare, soprattutto nelle parrocchie. Nondimeno, la liturgia inizia con il canto, durante il quale il prete può incensare l'altare. Le parole iniziali della Messa sono le stesse in entrambe le forme: «Nel nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo». Gudati dal celebrante, sacerdote e fedeli fanno insieme questo gesto, superando così il tempo che è trascorso tra la morte storica di Cristo sulla croce e il Sacrificio di Cristo sul Calvario, reso presente sull'altare ogni volta che viene celebrata la Messa. Come scrive padre Jeremy Driscoll, «I nostri corpi saranno trasportati nel corpo che fu appeso sulla croce, e questa partecipazione alla morte di Cristo è la rivelazione del mistero trinitario»[12].
«Nel nome» suggerisce che noi affidiamo la celebrazione al nome della Trinità. Con il battesimo, noi siamo immersi ed affidati al nome di Dio. Come nel battesimo veniamo sepolti e risuscitiamo con Cristo, così nel fare il segno di croce, noi rinnoviamo attivamente la nostra fede nel nome trinitario di Dio. Il segno della croce non è solo il modo tradizionale con cui i cattolici iniziano a pregare, ma è al contrario il modo più ovvio e più forte di iniziare a farlo. L'Amen è l'assenso solenne di coloro che rispondono.
Il «saluto apostolico» accoglie l'assemblea. Viene chiamato così perché è ispirato alle lettere di san Paolo. Il sacerdote può usare il Dominus Vobiscum, oppure può scegliere tra diverse formule. Qualunque sia la sua scelta, certamente non dovrà banalizzare tale saluto dicendo «Buon giorno». Il saluto liturgico è formalizzato perché il sacerdote saluta i fedeli nel suo specifico ruolo sacramentale per cui, in persona Christi capitis[13], egli saluta l'assemblea radunata da Dio. L'assemblea perciò non risponde «Buon giorno, padre», bensì «e con il tuo spirito». Scrive ancora Driscoll: «I fedeli si rivolgono allo "spirito" del sacerdote; cioè, a quella profondissima parte interiore del suo essere, nella quale egli è stato ordinato esattamente per guidare il popolo in questa sacra azione»[14].
Il sacerdote, poi, guida i fedeli col rito penitenziale, nel richiamare il popolo a riconoscere i propri peccati e a chiedere la misericordia di Dio. Nel Messale della forma ordinaria c'è una certa varietà di scelta. Il Confiteor, che qui è detto tutti insieme, incoraggia ognuno a pregare per l'altro e invoca la comunione dei santi perché ci assista. Un'altra forma richiama i versetti che seguono l'Indulgentiam nella forma straordinaria[15]. Entrambe le forme dell'atto penitenziale sono seguite dal Misereatur e dal Kyrie, la cui ripetizione indica le persistenti suppliche di misericordia. La terza forma consiste in una serie di petizioni, spesso legate al tempo liturgico, dette anche «tropi», seguiti dall'invocazione Kyrie eleison oppure Christe eleison[16]. La domenica, nelle feste o in occasioni speciali, il prete intona di seguito il Gloria, il canto degli angeli, cui si uniscono i presenti, o che è cantato dal coro che rappresenta i fedeli.
L'orazione principale, o colletta, conclude il ruolo del sacerdote nei riti iniziali della Messa. L'invito «Preghiamo» è seguito da un breve silenzio. Il silenzio parla profondamente all'essere interiore. Nella forma straordinaria esso è una componente naturale, nella forma ordinaria è considerato una risposta adeguata e umile al mistero. Il nome di «colletta» dato a questa orazione viene dal verbo latino colligere che indica il mettere insieme pezzi sparsi, per formare un'unità. La liturgia della Chiesa, attraverso la bocca del sacerdote, mette nei cuori dei fedeli una preghiera che riassume ciò per cui tutti dovremmo pregare. Non solo la colletta ci incoraggia a guardare oltre la piccolezza dei nostri bisogni e richieste, ma anche ad ascoltare la preghiera letta o cantata dal solo sacerdote a nome di tutta la Chiesa, per farne la preghiera di ciascuno di noi. Dopo di ciò, orientati verso Dio e dediti al culto della beata Trinità nel servizio della sacra liturgia della Chiesa, prete e fedeli insieme possono essere meglio sintonizzati per ascoltare la dolce voce che ci chiama affinché con la grazia di Dio giungiamo finalmente «alle più alte cime di scienza e di virtù»[17].
[Traduzione dall'inglese di don Mauro Gagliardi]
Note
1) Concilio Vaticano II, Sacrosanctum Concilium, n. 1.
2) La Praeparatio nel Missale Romanum del 1962 è più ampia.
3) Missale Romanum, Editio Typica Tertia, Typis Vaticanis 2002, 1289-1291.
4) Concilio Vaticano II, Lumen Gentium, n. 28.
5) Institutio Generalis Missalis Romani (IGMR), n. 93.
6) Cf. IGMR, n. 95.
7) IGMR, n. 96.
8) «[...] signat se signo crucis a fronte ad pectus, et clara voce dicit...»: Missale Romanum 1962.
9) P. Guéranger, Explanation of the Prayers and Ceremonies of Holy Mass, tr. L. Shepherd, Stanbrook Abbey, Worcestershire 1885, 7.
10) A. FORTESCUE - J.B. O'CONNELL - A. REID, The Ceremonies of the Roman Rite Described, 14th ed., St Michael's Abbey Press, Farnborough 2003, 142.
11) P. Guéranger, Explanation of the Prayers and Ceremonies of Holy Mass, 8.
12) J. DRISCOLL, What happens at Mass, Gracewing Publishing, Leominster 2005, 21.
13) «Nella persona di Cristo Capo».
14) J. DRISCOLL, What happens at Mass, 25.
15) «Ostende nobis Domine misericordiam tuam...».
16) Un tropo, dal latino tropus, e a volte riferito spregiativamente a farsato, era in origine una frase o un versetto aggiunto come abbellimento o come inserzione nella Messa cantata nel medioevo. Ad esempio il «Kyrie Lux et Origo eleison» della Missa I in Tempore Paschali. Il Messale di san Pio V li eliminò.
17) Regola di san Benedetto, capitolo 73.
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