mercoledì 3 febbraio 2010

Benedetto XVI all'udienza generale: nella Chiesa bruci il fuoco missionario di San Domenico. Chi serve il Vangelo non cerca potere o carriera


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Il Papa: "Esorto dunque tutti, pastori e laici, a coltivare questa “dimensione culturale” della fede, affinché la bellezza della verità cristiana possa essere meglio compresa e la fede possa essere veramente nutrita, rafforzata e anche difesa. In quest’Anno Sacerdotale, invito i seminaristi e i sacerdoti a stimare il valore spirituale dello studio. La qualità del ministero sacerdotale dipende anche dalla generosità con cui ci si applica allo studio delle verità rivelate" (Catechesi)

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Il Papa: "La vita consacrata testimonia ed esprime in modo "forte" proprio il cercarsi reciproco di Dio e dell’uomo, l’amore che li attrae; la persona consacrata, per il fatto stesso di esserci, rappresenta come un "ponte" verso Dio per tutti coloro che la incontrano, un richiamo, un rinvio. E tutto questo in forza della mediazione di Gesù Cristo, il Consacrato del Padre. Il fondamento è Lui! Lui, che ha condiviso la nostra fragilità, perché noi potessimo partecipare della sua natura divina" (Omelia Vespri)

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Benedetto XVI all'udienza generale: nella Chiesa bruci il fuoco missionario di San Domenico. Chi serve il Vangelo non cerca potere o carriera

Un Ordine religioso di predicatori-teologi che ha rinnovato la Chiesa del Medioevo e continua ad insegnare a quella contemporanea che un cristiano, specie se consacrato, ha tra i suoi doveri l’annuncio del Vangelo e la carità vissuta e non la carriera o il potere. E’ questo l’insegnamento che Benedetto XVI ha desunto dalla vita e dall’apostolato di San Domenico, alla cui figura ha dedicato l’udienza generale di questa mattina in Aula Paolo VI. Il Papa ha anche esortato vescovi e sacerdoti a curare la “dimensione culturale” della fede. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Un giovane della nobiltà castigliana medievale che brilla per il suo “interesse nello studio” delle Sacre Scritture, ma che non esita a vendere i suoi libri – allora un “bene di grande valore” – per “soccorrere con il ricavato le vittime di una carestia”. E più tardi, un sacerdote brillante che una volta eletto a una carica di visibilità e prestigio nella Chiesa e nella società non considera l’incarico “come un privilegio personale”, bensì come “servizio da rendere con dedizione e umiltà”. Sono queste peculiarità personali di Domenico di Guzman – che un giorno costituiranno lo stile di un intero Ordine religioso – ad attirare Benedetto XVI e a suggerirgli un primo raffronto con la realtà ecclesiale di oggi:

“Non è forse una tentazione quella della carriera, del potere, una tentazione da cui non sono immuni neppure coloro che hanno un ruolo di animazione e di governo nella Chiesa? Lo ricordavo qualche mese fa, durante la consacrazione di alcuni Vescovi: ‘Non cerchiamo potere, prestigio, stima per noi stessi. Sappiamo come le cose nella società civile, e, non di rado nella Chiesa, soffrono per il fatto che molti di coloro ai quali è stata conferita una responsabilità, lavorano per se stessi e non per la comunità’”.

Prima che le due massime aspirazioni di Domenico – evangelizzare chi non conosceva Cristo e rievangelizzare chi era stato fuorviato dalla fede – diventassero aspirazioni condivise da altri attirati dal suo carisma, il giovane castigliano ha modo di mettersi personalmente alla prova. Povero e austero, ha raccontato il Papa, il futuro Santo si dedica “con entusiasmo” alla predicazione agli Albigesi, un gruppo eretico medievale che disprezzava la materia fino a negare l’incarnazione di Cristo e che rigettava il lusso nel quale viveva parte del clero del tempo. L’esempio di sobrietà di Domenico colpisce nel segno e questa missione lo assorbirà per tutta vita, lasciando una traccia indelebile:

“Questo grande Santo ci rammenta che nel cuore della Chiesa deve sempre bruciare un fuoco missionario, il quale spinge incessantemente a portare il primo annuncio del Vangelo e, dove necessario, ad una nuova evangelizzazione: è Cristo, infatti, il bene più prezioso che gli uomini e le donne di ogni tempo e di ogni luogo hanno il diritto di conoscere e di amare!”.

Quando l’Ordine dei Frati Predicatori si consolida con l’appoggio dei Papi del tempo, Domenico riprende e rielabora la Regola di Sant’Agostino. Vita comunitaria e studio, ha spiegato Benedetto XVI, sono i “due valori ritenuti indispensabili per il successo della missione evangelizzatrice”. In particolare, per volere di Domenico, i suoi primi compagni vanno a formarsi nelle Università. Si tratta, ha osservato il Pontefice, di “un gesto coraggioso” – perché all’epoca si guardava con diffidenza agli atenei – ma l’obiettivo, raggiunto, è quello di acquisire “una solida formazione teologica”:

“Lo sviluppo della cultura impone a coloro che svolgono il ministero della Parola, ai vari livelli, di essere ben preparati. Esorto dunque tutti, pastori e laici, a coltivare questa ‘dimensione culturale’ della fede, affinché la bellezza della verità cristiana possa essere meglio compresa e la fede possa essere veramente nutrita, rafforzata e anche difesa. In quest’Anno Sacerdotale, invito i seminaristi e i sacerdoti a stimare il valore spirituale dello studio. La qualità del ministero sacerdotale dipende anche dalla generosità con cui ci si applica allo studio delle verità rivelate”.

Anche la struttura interna del neonato Ordine riflette l’obiettivo che esso si era posto. Come per i Francescani, i membri sono mendicanti, senza cioè proprietà da amministrare e dunque più mobili e disponibili per gli scopi apostolici. Questa organizzazione, ha sottolineato Benedetto XVI, stimolava la “vita fraterna” esigendo “forti convinzioni personali”:

“La scelta di questo sistema nasceva proprio dal fatto che i Domenicani, come predicatori della verità di Dio, dovevano essere coerenti con ciò che annunciavano. La verità studiata e condivisa nella carità con i fratelli è il fondamento più profondo della gioia. Il beato Giordano di Sassonia dice di san Domenico: ‘Egli accoglieva ogni uomo nel grande seno della carità e, poiché amava tutti, tutti lo amavano’”.

Domenico di Guzman muore nel 1221 e 13 anni più tardi viene canonizzato. La sua vita, ha concluso il Papa, ci indica “due mezzi indispensabili affinché l’azione apostolica sia incisiva. Il primo è la devozione mariana, specie attraverso il Rosario, mentre il secondo deriva dalla cura che il Santo spagnolo prese in vita di alcuni monasteri femminili. Così facendo, ha detto il Pontefice, Domenico:

“…credette fino in fondo al valore della preghiera di intercessione per il successo del lavoro apostolico. Solo in Paradiso comprenderemo quanto la preghiera delle claustrali accompagni efficacemente l’azione apostolica! A ciascuna di esse rivolgo il mio pensiero grato e affettuoso”.

Tra i saluti successivi alle catechesi in sintesi, oggi in sei lingue, Benedetto XVI si è rivolto, fra gli altri, ai vescovi che partecipano all'incontro internazionale promosso dalla Comunità di Sant'Egidio, auspicando che i giorni “di riflessione e di preghiera siano fruttuosi per il ministero” di ciascuno. E un saluto, accompagnato da un divertito apprezzamento, il Papa lo ha rivolto ai giocolieri e agli acrobati del “Circo Americano”, della Famiglia Togni, che si sono brevemente esibiti a suon di musica in Aula Paolo VI. Vi incoraggio, ha detto loro il Papa, “ad operare con generoso impegno” per “contribuire a costruire un futuro migliore per tutti”.

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