martedì 2 febbraio 2010
Shoah, Ungheria 1944: quando Pio XII non tacque (Airò)
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Su segnalazione di Eufemia leggiamo:
Shoah
Ungheria 1944: quando Pio XII non tacque
DI ANTONIO AIRÒ
Ancora documenti – questa volta dagli archivi londinesi – sul «silenzio» di Pio XII di fronte alla Shoah. E probabilmente seguiranno altri che, presi singolarmente e senza contestualizzazione, tenderanno ancora quanto meno a sminuire la figura di papa Pacelli.
Si prenda l’informazione che l’ambasciatore britannico a Roma, D’Arcy Osborne, inviava al suo governo il 10 novembre 1944, dopo un incontro con il Papa nel quale aveva chiesto un pubblico pronunciamento contro «il maltrattamento » (questa la parola usata dal diplomatico) per indicare la deportazione alla quale erano sottoposti i 300.000 ebrei ungheresi, ma esortando nello stesso tempo il pontefice a non condannare i sovietici per le crudeltà da loro compiute contro le popolazioni dei Paesi baltici. Pio XII avrebbe risposto di non aver deciso in merito ma che in ogni caso la sua condanna «sarebbe stata anonima». Insomma avrebbe taciuto. Eppure l’ambasciatore non poteva ignorare – a meno di dubitare della sua competenza – che proprio pochi giorni prima il Papa aveva inviato un messaggio personale al popolo e alla Chiesa magiari: «Continuano a pervenirci da codesta nazione dei pressanti appelli imploranti il nostro intervento per la difesa di persone esposte a persecuzioni e violenze a causa sia della loro confessione religiosa, sia della loro razza o delle loro convinzioni politiche». Il termine ebreo non compare esplicitamente in questo messaggio, ma il riferimento era più che evidente. Il Papa era stato quindi esplicito anche se la deportazione degli ebrei sarebbe continuata fino a dicembre e sarebbe cessata quando l’Ungheria fu occupata dalle truppe russe. Anche per l’altro documento ora emerso circa un colloquio tra Pio XII e Harold Tittman, l’incaricato americano presso la Santa Sede, nell’ottobre 1943, all’indomani della razzia nazista nel ghetto di Roma, dal quale risulterebbe il tragico silenzio del pontefice, proprio una lettera di Osborne (allora incaricato presso la Santa Sede in una città occupata dai tedeschi) informa Londra di una «protesta» del Vaticano all’ambasciatore tedesco con il risultato che «un buon numero di persone sono state rilasciate sembra quindi che l’intervento vaticano sia stato efficace nel salvare un gran numero di infelici ». Ma la conclusione del diplomatico inglese è quanto mai significativa: «Ho chiesto se potevo riferire questo e mi è stato detto di sì ma solo per informare voi e per nessun motivo a fini propagandistici; difatti la diffusione di informazioni provocherebbe altre persecuzioni». Il silenzio comunque non avrebbe bloccato la generosa solidarietà nei confronti degli ebrei, molti dei quali ospitati nei conventi e nelle parrocchie di Roma. Il comportamento di Pio XII può certamente essere sottoposto ad analisi e verifiche. E i giudizi possono anche essere divergenti. Ma ci sembra siano tuttora valide le affermazione del gesuita padre Dezza (già rettore della Gregoriana e poi creato cardinale da Giovanni Paolo II) esposte sull’ Osservatore Romano nel giugno 1964, e riproposte oggi dallo stesso quotidiano vaticano, nel pieno delle polemiche sul silenzio: del Papa. «Se Pio XII ha taciuto o ha parlato poco non è stato per nessun altro motivo se non per il timore di peggiorare la situazione».
Ci sembra lo stesso giudizio di Osborne. Nei giorni scorsi, sul quotidiano israeliano Haaretz , si legge: «Forse solo in un mondo al contrario come il nostro, l’unico uomo che, nel periodo bellico, ha fatto più di chiunque altro leader per aiutare gli ebrei e altre vittime del nazismo, riceve la condanna più dura». È giusto allora che i documenti, tutti e da ogni parte, vengano alla luce. Ma senza strumentalizzazioni o partigianerie.
© Copyright Avvenire, 2 febbraio 2010
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