lunedì 15 marzo 2010

Benedetto XVI rilancia la “profezia” del celibato e scrive un decalogo anti pedofili (Rodari)


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B-XVI rilancia la “profezia” del celibato e scrive un decalogo anti pedofili

Paolo Rodari

La risposta del Papa al vociare di questi giorni, al tentativo di legare i casi di abusi sessuali su minori perpetrati da preti al vincolo del celibato, è arrivata ieri con un discorso molto atteso, soprattutto in Vaticano, rivolto ai partecipanti al convegno organizzato dalla Congregazione per il clero sul sacerdozio. Perché una parola “ratzingeriana” sul celibato era, secondo molti, opportuno arrivasse.
Benedetto XVI non si è limitato a ribadire un concetto a lui caro: il celibato “rimane un valore sacro”. Ma, a suo modo, ha detto di più. Ha parlato di un’epoca, la nostra, “policentrica” e, dunque, “incline a sfumare ogni tipo di concezione identitaria”.
Un’epoca contro la quale la chiesa deve contrapporre “la peculiarità teologica del ministero ordinato per non cedere alla tentazione di ridurlo alle categorie culturali dominanti”.
Certo, riaffermare il valore del celibato non significa sottovalutare le colpe delle quali si sono macchiati alcuni sacerdoti nel mondo. Su queste colpe il Papa ha confermato ancora ieri al presidente dei vescovi tedeschi, Robert Zollitsch, la linea della “tolleranza zero”, annunciando inoltre un’Istruzione in merito che potrebbe prevedere l’immediata denuncia alla magistratura dei preti colpevoli. Si tratta di un vero e proprio decalogo, al vaglio ora della Dottrina per la fede.
Benedetto XVI ieri è tornato sul tema dell’ermeneutica del Concilio Vaticano II, tema già esposto nel discorso alla curia romana del 2005.
Come il Concilio va letto in un’ottica di continuità col passato, senza cercare di sfregiarlo portando i suoi testi a un appiattimento a ciò che il mondo pensa e dice, così la vocazione sacerdotale – il sacerdote è “uomo del sacro, sottratto al mondo per intercedere a favore del mondo”, ha detto ieri il Papa –, deve mantenere le sue peculiarità.
Il prete è uomo di Dio, ponte tra l’umanità e il trascendente, e come tale non deve cedere a “pericolosi riduzionismi” che nei decenni passati l’hanno presentato come un “operatore sociale”.
La cita, Ratzinger, l’ermeneutica conciliare, dicendo che oggi sarebbe opportuna anche “un’ermeneutica che potremmo definire della continuità sacerdotale, la quale, partendo da Gesù e passando attraverso i duemila anni della storia di grandezza e di santità, di cultura e di pietà che il sacerdozio ha scritto nel mondo, giunga fino ai nostri giorni”.
Benedetto XVI usa termini importanti, poi ripresi, in serata, da monsignor Mauro Piacenza, segretario del clero, nelle conclusioni del convegno alla Lateranense. Dice, il Papa, che il sacerdozio deve fiorire nel “carisma della profezia”. Perché c’è grande bisogno di sacerdoti che “parlino di Dio al mondo e che presentino a Dio il mondo”. Uomini “non soggetti a effimere mode culturali, ma capaci di vivere autenticamente quella libertà che solo la certezza dell’appartenenza a Dio è in grado di donare”. Cos’è, infatti, il prete? E’ un uomo “di un Altro”. E come si può essere di un Altro se non attraverso il celibato? “Esso è autentica profezia del Regno”.
Anche Vittorio Messori, giornalista e biografo di Wojtyla e di Ratzinger, parla al Foglio del celibato in questi termini.
Secondo lui per Benedetto XVI “il celibato è come un argine contro quella terribile denuncia che fece nella lettera del 10 marzo 2009 per spiegare la remissione della scomunica ai quattro vescovi lefebrviani: ‘Nel nostro tempo in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento’, scrisse il Papa”.
Benedetto XVI “lotta contro questo pericolo”, dice Messori.
“Va insomma al cuore della crisi di fede che sta investendo l’Occidente. Cerca di risolvere il problema a monte. I dubbi attorno al celibato, infatti, sono il segno d’una crisi più profonda. Contro questa crisi il celibato è da rinvigorire. Da riscoprire. Perché è una condizione alta, incomprensibile se non in un’ottica di fede. Il celibato sacerdotale è ‘propter regnum celorum’, è un segno direi escatologico”. Poi Messori propone una riflessione più ardita: “Proprio perché il celibato è un qualcosa di elevato e prezioso assieme, credo che in futuro la chiesa possa anche tornare alla condizione del primo millennio, dove c’erano i monaci celibi che avevano accesso all’episcopato e al papato e i sacerdoti secolari che invece potevano sposarsi, ma non era permesso loro l’accesso all’episcopato. Del resto chi vive il celibato seriamente sarà come una perla nel mare. Nella chiesa cattolica il celibato sarà un qualcosa di pochi e proprio per questo prezioso e di valore”.

Pubblicato sul Foglio sabato 13 marzo 2010

© Copyright Il Foglio, 13 marzo 2010 consultabile online anche qui, sul blog di Paolo Rodari.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Che miseria! Da un Messori proprio non me lo sarei aspettato. Ci salvi la Madonna dai preti sposati.

Anonimo ha detto...

Se si continua così, almeno in Occidente, i pochi preti saranno tutti vescovi per cui applicando la tanta lodata regola ortodossa, dovranno essere celibi per forza.
Eufemia