giovedì 10 giugno 2010

La partita turca non si vince con le crociate (Paolo D'Andrea)


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Riceviamo e con piacere pubblichiamo questo articolo segnalatoci anche da Eufemia:

La partita turca non si vince con le crociate

Paolo D'Andrea

La coda del viaggio di Benedetto XVI a Cipro, avvenuto in inquietante coincidenza col martirio del vicario apostolico d’Anatolia Luigi Padovese, ha reso evidente a tutti che nei prossimi mesi una partita cruciale per la Chiesa nel mondo torna a giocarsi non nei bisbigli perduti dei palazzi d’Oltretevere, ma nella polveriera mediorientale.
Il rendiconto finale si farà a ottobre, al Sinodo dei vescovi dedicato alla condizione della Chiesa cattolica in Medio Oriente. E come è già accaduto tante altre volte, i cuori si svelano e si dividono davanti alle vicende dolorose e vivide dei cristiani in quelle terre mediorientali aspre, lì dove il cristianesimo ha attecchito all’inizio del suo cammino nella storia degli uomini. Uno schieramento si è già profilato nelle analisi e nei commenti più acuminati sul viaggio papale e sulle implicazioni del martirio di Padovese: è quello di quanti vorrebbero un sinodo “di guerra”, concepito come controffensiva battagliera per liberare le minoranze cristiane dalle «orrende» condizioni di persecuzione subite in terra islamica. Il bersaglio fisso dei corifei della strategia belligerante nei confronti dell’Islam è la diplomazia vaticana, con le sue opzioni dialoganti, i presunti irenismi, le titubanze protocollari bollate tout court come indegne calate di braghe davanti all’aggressione islamista.
Ma adesso la loro malcelata delusione sembra incombere anche su Benedetto XVI. Era successo già con Giovanni Paolo II: l’eroe della lotta al comunismo era finito nel mirino della grande stampa del mondo libero, quando nel 1991, ai tempi della prima guerra del Golfo, aveva rifiutato i panni del cappellano d’Occidente e per giudicare quell’intervento militare aveva assunto la prospettiva suggerita dai suoi fratelli Patriarchi d’Oriente. Adesso, l’attuale vescovo di Roma, che nel viaggio a Cipro ha definito «fratelli» i seguaci di Muhammad, e ha indicato ai cristiani la via della convivenza e di una paziente perseveranza nutrita dai doni della grazia, sta involontariamente mandando in frantumi il mito del Papa “guerriero” scolpito in lunghi anni di impegnativa ermeneutica teocon applicata al pontificato ratzingeriano.
Stavolta, i nostalgici dei tempi belli di Ratisbona ritengono di aver trovato la smoking gun del disfattismo vaticano che ormai irretirebbe pure papa Ratzinger: il vescovo Padovese è stato sgozzato, qualcuno dice che il suo assassino avrebbe urlato inequivocabili frasi di rivendicazione islamista («Hallah è grande», «ho ucciso il grande Satana»), mentre fin dall’inizio le reazioni ufficiali vaticane e le parole pronunciate dallo stesso Pontefice, in viaggio verso Cipro, avevano evitato di attribuire al crimine una matrice politico-religiosa. Così, per pusillanime quieto vivere, sulla pelle di un martire della fede, si sarebbe evitato di denunciare la deriva islamista della Turchia di Erdogan, punta di lancia dell’attacco sferrato da un credo geneticamente violento che da sempre persegue l’intento di cancellare il cristianesimo dalla terra. Anche l’agenzia cattolica Asianews, principale fonte delle ricostruzioni dell’assassinio del vescovo riprese dai media italiani, ha suggerito al Vaticano di «rivedere» le prime dichiarazioni che escludevano implicazioni politiche e religiose.
In realtà, proprio il “caso turco” mostra l’insufficienza di letture in bianco e nero della condizione dei cristiani nelle terre a maggioranza islamica. Se la Turchia è l’epicentro di ripetuti episodi dolorosi e inquietanti per le locali, minuscole comunità cristiane – come i martìrii di don Andrea Santoro e del vescovo Padovese – non stanno in piedi i teoremi rozzi che mettono tutto in conto al risveglio islamico del grande Paese. Il quadro è più complesso e paradossale, e rimanda fatalmente ai complicati processi storici che hanno modellato il rapporto tra istituzioni e religione nella Turchia moderna. Dove il tentativo di occidentalizzazione laicista imposto dal kemalismo ha innescato reazioni oscure e incontrollabili nel vissuto sommerso del Paese.
Come ha scritto il brillante professore di diritto internazionale Emre Öktem, «Dopo il colpo di Stato del 1980 il governo militare si servì del discorso religioso per ostacolare i movimenti marxisti, in sintonia con la politica americana della “zona verde” in Asia. Il presidente-generale Evren infarciva i suoi discorsi in difesa dello Stato di versi coranici. L’elettoralismo ha ricompensato in maniera crescente quelli che hanno puntato sulla religione». La vittoria dell’Akp alle elezioni del 2002 va collocata in questa prospettiva. Ma paradossalmente proprio il partito di Erdogan, sparigliando gli scenari, è diventato il protagonista di un nuovo tentativo di sintesi: «Approfondendo la sua ispirazione di partito moderato-islamico» sostiene ancora Öktem «l’Akp potrebbe superare le logiche del passato e favorire un nuovo equilibrio tra stabilità politica, laicità dello Stato e libertà di religione». Non è un caso che le minoranze cristiane presenti in Turchia facciano affidamento sul partito musulmano di Erdogan per una evoluzione positiva della loro condizione anche giuridica: il Patriarcato ortodosso di Costantinopoli potrebbe ottenere presto il nihil obstat governativo alla concessione della cittadinanza (richiesta per essere eletto Patriarca) a tutti i metropoliti sparsi nella diaspora, uscendo così dalla situazione di asfissia del Collegio elettorale sinodale che ne minaccia la sopravvivenza. Allo stesso tempo, gli analisti più accorti sanno bene che i sentimenti più visceralmente anticristiani presenti in Turchia vengono coltivati e manovrati altrove: nelle zone grigie di quello che viene chiamato lo «Stato profondo», il cuore oscuro e settario degli apparati statali e militari, infiltrati dai “donmé” (i turchi seguaci del falso messia Sabbatai Zevi, convertiti nel 1660 su pressione del sultano, elitari e di orientamento kemalista), da sempre ostili a Erdogan e al suo partito musulmano-moderato. Come ha scritto sempre su Asianews il ben informato notista Nat da Polis, alcuni casi giudiziari come l’affare Ergenekon (la cosiddetta «Gladio turca») avevano fatto emergere negli ultimi tempi i disegni di alcuni elementi dello «Stato profondo» che «avevano progettato assassini di elementi cristiani addossandone la colpa agli islamici». La Turchia vive la sua transizione politica interna, sostenuta da una forte crescita economica e da una sempre crescente rilevanza geopolitica e sta andando verso un referendum per la revisione di alcuni articoli della carta costituzionale che – fa notare sempre Nat da Polis – «mira a mettere fine all’asfissiante controllo della Corte suprema, ultimo baluardo dell’establishment kemalista, dopo che l’esercito è alle strette, sia per l’affare Ergenekon sia per la cattiva gestione dell’affare curdo. Affare, quest’ultimo, che costituisce la patata bollente del pianeta turco, a causa anche della nascita de facto del Kurdistan del nord dell’Iraq nel quale c’è una influenza israeliana, cosa che irrita assai il governo di Ankara».
In un quadro così frastagliato, tentare di imporre la persecuzione di marca islamista come unica chiave interpretativa delle sofferenze e delle vicissitudini dei cristiani in tutto il Medio Oriente è come voler giocare con le carte truccate. Del resto, molti paradigmi degli aspiranti nuovi paladini dei diritti dei cristiani appaiono segnati da sospette amnesie. Come quando si dimentica che, ad esempio, in Iraq le millenarie comunità cristiane autoctone vengono spazzate via perché «la guerra ha scatenato le forze del male nel Paese», dato geo-politico lucidamente ricordato nel documento di lavoro per il prossimo Sinodo sul Medio Oriente che Benedetto XVI ha consegnato ai Patriarchi e ai vescovi nell’ultimo giorno della sua visita a Cipro.

© Copyright Il Secolo d'Italia, 10 giugno 2010

5 commenti:

gemma ha detto...

"i nostalgici dei tempi belli di Ratisbona?"
ci vorrebbe maggior rispetto per un discorso evidentemente malinterpretato, sia da destra che da sinistra

Anonimo ha detto...

Non c'è nessuna ermeneutica teo-con, oppure c'è solo per chi, come D'Andrea, è sempre in prima linea ad etichettare tutto.
Il pontificato di Ratzinger si colloca al di là di certe facili interpretazioni, la sua difficoltà è proprio quella di riuscire a lavorare in una curia che per prima partecipa al gioco destra/sinistra. La questione della verità sollevata a Ratisbona nel 2006 è l'unico occhiale da indossare per valutare il Magistero di questo straordinario Papa che già da Cardinale (ci sono i libri e i documenti a testimoniarlo) faceva della Verità un suo costante riferimento. Per Ratzinger la Verità Assoluta esiste con buona pace dei commentatori "moderni", esiste al punto tale che non c'è bisogno d'imporla quando è possibile cercarla liberamente. Si impone da sè, purtroppo però questa libera ricerca in alcune parti del mondo non è possibile. Questo va detto con chiarezza e non è di destra, nè di sinistra. Come non è nè di destra, nè di sinistra sottolineare il FATTO che il martirio di Mons. Padovese è di stampo politico-religioso.

Anonimo ha detto...

Non concordo per nulla con l'articolo di D'andrea. Che oltretutto è piuttosto generico, mentre mi fido di AsiaNews avendo conosciuto Padre Cervellera. Non è solito fare affermazioni se non ne ha la certezza e le sue fonti sono "sul campo". In questo senso il vile assassinio di Mons. Padovese, un uomo buono, mite, votato al dialogo da parte di un giovane che da lui aveva ricevuto solo del bene mi ha addolorato moltissimo. Per questo lunedì mattina sarò in piazza del Duomo, sperando che il sangue di un maerire non sia stato versato in vano e che Tettamanzi sappia dire (ma ne dubito..) parole all'altezza della situazione. In ogni caso proprio qualche giorno fa è uscito sul Wall Street Journal un articolo illuminante sulla involuzione islamista della Turchia, scritto proprio da un turco e tutto nel senso delle sottolieature di Asianews. L'autore invita gli occidentali a conoscere di più i media turchi e a fidarsi un po' meno di certe traduzioni o veline passate dal governo o da agenzie compiacenti ai media occidentali.

Anonimo ha detto...

L'articolo di d'Andrea molto generico???Spero stia scherzando l'anonimo 2. Ho vissuto in Turchia e trovo l'articolo molto veritiero, sia su Erdogan, che sui militari.

Gli articoli di asianews contraddicono le affermazioni e il racconto della morte del vescovo fatte da Suor Eleonora, segretaria del povero vescovo da oltre 20 anni, già solo questo dimostra quanto poco sia attendibile asianews.

Anonimo ha detto...

Finalmente si è mossa la Procura, Eufemia
MONS.PADOVESE: PROCURA MILANO APRE FASCICOLO PER L'OMICIDIO

(ANSA) - MILANO, 11 GIU - La Procura di Milano ha aperto un
fascicolo per l'omicidio del vicario apostolico dell'Anatolia,
mons. Luigi Padovese, ucciso a Iskenderun in Turchia lo scorso 3
giugno dal suo autista, poi arrestato, Altun Murat.
L'inchiesta e' stata aperta a Milano in quanto il codice
penale stabilisce che per un reato commesso nei confronti di un
cittadino italiano all'estero, debba procedere anche il
magistrato del luogo di residenza della parte offesa e monsignor
Padovese risiedeva a Legnano.
L'autopsia sul corpo e' stata effettuata due giorni fa, lo
stesso giorno in cui la salma e' arrivata in Italia. (ANSA).