venerdì 11 giugno 2010

Per seppellire il clericalismo. Effetti dello scandalo pedofilia a lungo termine (Carlo Silini)


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Per seppellire il clericalismo

Effetti dello scandalo pedofilia a lungo termine

CARLO SILINI

Anche se le polemiche attorno alla pedofilia nel clero cattolico sembrano essersi affievolite, gli effetti dello scandalo potrebbero durare ancora a lungo. Potrebbero e dovrebbero. Non tanto e non solo per dar modo ai Vescovi che hanno coperto il fenomeno di riparare ai torti fatti e magari a coloro che sono venuti in seguito di evitare che si ripetano in futuro (operazione assolutamente necessaria per ricomporre il rapporto di fiducia con i propri fedeli, prima ancora che con l’intera società civile). Ma anche e soprattutto per ripensare la figura del prete nel terzo millennio.
Chissà se Benedetto XVI, l’anno scorso di questi tempi, quando ha indetto l’«anno sacerdotale» (a cui dedichiamo l’odierno Primo Piano), avrebbe immaginato che l’evento destinato a rinverdire i fasti del sacerdozio sarebbe stato risucchiato dal maremoto mediatico più devastante mai subito, in tempi recenti, dal clero cattolico. Altro che modelli di santità per il mondo corrotto: alla fine alla gogna ci sono finiti proprio loro, i preti (purtroppo tutti, anche quelli incolpevoli, che restano la stragrande maggioranza). E non certo per «peccati veniali».
I cinesi dicono che ogni crisi è anche un’opportunità. Vale quindi la pena di considerare la tempesta della pedofilia come un’occasione unica per ricostruire non solo l’immagine, ma anche il modo d’essere dei preti. Come? Liberando il clero dalla tentazione del clericalismo, o, se si preferisce, dai privilegi legati al loro stato. Questo è il vero problema, non il celibato obbligatorio dei preti.
Sarebbe senz’altro meglio, anche in rapporto alla questione degli abusi sui minori, se la castità dei preti fosse una scelta facoltativa. Ma, per la legge dei numeri, è del tutto discutibile che la rinuncia volontaria al sesso sia la causa principale del fenomeno: statisticamente la maggior parte dei pedofili sono padri di famiglia, non uomini casti. Ciò non toglie, va da sè, che nei seminari si dovrebbe lavorare a fondo sulla maturità relazionale e affettiva dei candidati al sacerdozio. Secondo lo scrittore e giornalista cattolico inglese Andrew Sullivan, per molti preti pedofili «il sesso è un’astrazione, un peccato, non un’interazione tra pari. E la loro sessualità è rimasta congelata agli albori dell’adolescenza (...); per questo provano attrazione verso chi si trova nel loro stesso stato di sviluppo, cioè verso i maschi adolescenti». Passi decisivi, nella ridefinizione della figura sacerdotale, andrebbero quindi fatti nella direzione di una più attenta analisi della maturità umana e sessuale dei candidati alla tonaca. Non è il celibato in sè a generare abusi, ma è la scelta di viverlo nascondendo a se stessi, bloccando o rimuovendo la realtà delle proprie naturali pulsioni. Ma se a farla è una persona serena ed equilibrata sotto questi profili, i pericoli di pedofilia sono ridottissimi.
La causa degli abusi sui minori, in definitiva, non è la castità obbligatoria, ma sono gli squilibri nello sviluppo sessuale ed emotivo di una persona. Non ha nulla a che vedere col fatto di essere o non essere preti. Esiste tuttavia una circostanza, nella vita dei preti, che ha reso particolarmente drammatica la dimensione degli abusi sui minori dentro la Chiesa cattolica: il clericalismo. Sia chiaro che neppure il clericalismo – ovvero la tendenza a ritenere il clero come un corpo sociale ontologicamente superiore a quello dei semplici laici – genera, di per sè, pedofilia. Le idee «tradizionaliste» di certi preti e la loro discutibile convinzione di essere moralmente o spiritualmente migliori degli altri comuni mortali non implicano alcuna maggiore tendenza ad abusare dei minori. Ma consentono di costruire un castello di privilegi dentro il quale i comportamenti pedofili sono stati spesso tollerati, nascosti, protetti e hanno potuto protrarsi nel tempo.
Il fatto che molti preti, in passato, ma anche nel presente, si ritenessero e si ritengano una casta speciale ha contribuito a fondare la convinzione che per loro valessero e valgano leggi speciali, separate e in certi casi diverse da quelle vigenti nella società civile, dalla quale devono essere preservati e protetti.
Di fronte all’avanzare della secolarizzazione, poi, l’ammissione di colpe turpi come le molestie sui bambini è stata troppo spesso sacrificata sull’altare del «bene superiore della Chiesa». Non bisognava offrire argomenti ai suoi nemici. E allora, meglio tacere, negare, trasferire i preti in odore di pedofilia in parrocchie dove non erano conosciuti, cercare di ottenere il silenzio delle vittime e dei loro famigliari attraverso il controllo delle loro coscienze. Tutto, pur di evitare di finire in un tribunale civile. Tutto pur di non infangare l’autorevolezza e la «superiorità» della casta sacerdotale.
Quanto ai preti colpevoli, potevano contare su un sistema che valorizzando molto di più la morale che i diritti, ha finito col confondere «peccato» con «reato», e viceversa. Come se, ricevendo l’assoluzione dopo la confessione, si esaurisse l’iter di riparazione dei colpevoli. Si tratta tuttavia di un grave fraintendimento della misericordia divina: perché fare i conti con Dio non esenta i preti pedofili dal fare i conti con gli uomini e con i loro tribunali. Troppe volte la mentalità clericale ha preferito la misericordia nei confronti dei colpevoli alla giustizia nei confronti delle vittime.
La pedofilia del clero, insomma, è cresciuta a dismisura proprio perché affondava le proprie radici nel brodo di coltura del clericalismo. La sfortunata coincidenza tra l’anno sacerdotale e lo scoppio generalizzato dello scandalo della pedofilia dovrebbe allora diventare la storica occasione per eliminare in via definitiva la tentazione di continuare a far valere per il clero un regime di eccezione che lo separa e protegge dal «mondo». I preti non sono una casta di eletti, una specie a parte, un genere ibridato tra l’uomo e l’angelo.
La purificazione dei preti, di cui ha parlato a varie riprese il Papa riferendosi alle polemiche sulla pedofilia, non passa dal rinnegamento dei loro impulsi o dal tentativo di diventare una «specie a parte», ma dall’assunzione convinta e responsabile della propria appartenenza alla natura umana e alla società degli uomini.

© Copyright Corriere del Ticino, 10 giugno 2010

Il Papa ha parlato di questo argomemto proprio ieri sera.
Il rimedio all'eccessivo clericalismo non puo' di certo essere la secolarizzazione del clero. Sappiamo il disastro che esso ha prodotto negli ultimi decenni!
Vorrei inoltre ricordare a tutti i commentatori che e' bene che evidenzino sempre che lo scandalo pedofilia ha radici molto lontane e risale a ben prima dell'elezione di Benedetto XVI.
Il fatto che sia esploso solo ora dovrebbe fare riflettere TUTTI, giornalisti compresi
.
R.

1 commento:

mariateresa ha detto...

se avete voglia di riderci sopra considerate questa frase. "La sfortunata coincidenza tra l’anno sacerdotale e lo scoppio generalizzato dello scandalo della pedofilia ".
Sfortunata coincidenza?Davvero?