mercoledì 7 luglio 2010

Celestino, il Papa ignorato e dimenticato. C'è voluto il coraggio di Benedetto XVI per "sdoganarlo" (De Nicola)


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UN GIORNO STORICO PER LA CRISTIANITÀ

di ANGELO DE NICOLA

SÌ, una visita storica.
Per Sulmona (lo ha detto con orgoglio il sindaco peligno, Fabio Federico), per l’Abruzzo (lo ha ribadito il Governatore Gianni Chiodi). Ma soprattutto, la visita di Benedetto XVI è storica per la Cristianità.
Sì, perchè pochi hanno avuto la forza (e il coraggio) di sottolineare che Celestino V, fino al 28 aprile dello scorso anno, è stato per quasi otto secoli ostracizzato dalla Chiesa.
Le dimissioni, le più clamorose della storia dell’umanità, da Papa per tornare l’umile fraticello del Morrone, hanno imbarazzato la Chiesa. «Il Pontefice, quale Gesù Cristo in terra, non può dimettersi»: il canone è stato ribadito in occasione della malattia di Giovanni Paolo II.
Ed invece, quel vecchietto (Celestino era già ultraottantenne) nient’affatto rimbambito (come una superficiale storiografia lo ha voluto descrivere), «ha girato i tacchi» (l’espressione è del cantautore Francesco De Gregori che nella canzone “Vai in Africa Celestino” del 2005 invitava il suo “amico” Valter Veltroni a dimettersi, come Celestino appunto, e a mantenere la promessa di andare a fare il missionario in Africa), ha avuto il coraggio di dare le spalle al potere, rinunciando ad essere l’uomo più potente della Terra. Un “Martin Luther King” dei suoi tempi, un “Ghandi del Duecento”, altro che vigliacco (“...colui che per viltade fece il gran rifiuto”) come si vuole ancora leggere il verso dantesco.
Ebbene, per quasi otto secoli, il vigliacco Celestino è stato ai margini della Storia invece che esserne un protagonista. Anzi, lo si è ficcato a forza in tutti i misteri negativi possibili e immaginabili come le questioni dei Templari («solo uno zimbello nelle mani degli eretici cavalieri»); del foro presente nel suo cranio («prova dell’assassinio voluto da Bonifacio VIII facendogli piantare un chiodo nella testa»); di Rennes-Le-Chateau («l’abate Sauniere protagonista dei misteri di quel paesino dei Pirenei si procurò un ritratto proprio di Celestino V»). Ostracizzato, Celestino V, nonostante avesse “inventato”, o almeno anticipato l’idea poi amplificata dal suo successore Bonifacio VIII, il Giubileo con quella Bolla del Perdono (emanata in occasione della sua incoronazione a Papa, clamorosamente fuori da Roma, nella basilica di Collemaggio all’Aquila).
Bolla che rappresenta uno dei gesti più rivoluzionari nella storia della Chiesa perchè Celestino concede il privilegio del Perdono “erga omnes”, dunque anche ai poveri, visto che in quel tempo le Indulgenze bisognava pagarle in una Chiesa per la quale (e recenti fatti parrebbero dimostrarlo...) vale sempre il detto “pecunia non olet”.
Dimenticato. Fino al punto che un grande Papa quale Giovanni Paolo II, quando venne in Abruzzo il 30 agosto del 1980 in occasione del seicentenario della nascita di San Bernardino da Siena, nella sua omelia (considerata storica perchè toccò il caldissimo tema, all’epoca, dell’aborto) sul sagrato di Collemaggio, non citò mai il nome del padrone di casa, sepolto a pochi metri di distanza. Salvo poi andare ad inginocchiarsi davanti alla sua tomba, ma in “forma privata”.
Ignorato. Fino al 6 aprile, data spartiacque per L’Aquila e per l’intero Abruzzo. Il 28 aprile 2009, infatti, Papa Ratzinger, nella sua commossa visita nella terra martoriata dal sisma, compie un gesto clamoroso: passa sotto la Porta Santa di una Collemaggio martoriata dal sisma, e depone il suo pallio sull’urna contenente le spoglie di Celestino. Il terremoto ha fatto il miracolo.
Un riconoscimento che viene definitivamente sancito oggi, con la visita a Sulmona nell’anno Giubilare Celestiniano che il vescovo peligno, monsignor Angelo Spina, ha cocciutamente voluto e sapientemente ottenuto. I maliziosi insinuano da un lato che il vero riconoscimento sarebbe soltanto l’apertura, da parte del Papa, della Porta Santa di Collemaggio (l’unica fuori da Roma) nel giorno della Perdonanza (il 28 agosto) e, dall’altro, che la scelta non sarebbe casuale nel senso che si rende omaggio al Santo del Morrone (Sulmona) e non al Papa incoronato a Collemaggio (L’Aquila), tesi peraltro corroborata dal fatto che Pietro Angelerio fu fatto “santo subito” (solo 17 anni dopo la morte) ma col nome da eremita (San Pietro l’Eremita) e non con quello di Pontefice (mai ripreso da nessun altro Papa, in quanto Celestino VI non esiste). Le malizie e i campanilismi (il terremoto dovrebbe averlo insegnato) non servono. La visita di oggi di Benedetto XVI rappresenta un’occasione storica per l’Abruzzo soprattutto per il lancio, finalmente, di un turismo religioso nel nome di Celestino V che potrebbe portare una boccata d’ossigeno a un’economia terremotata non soltanto dal 6 aprile. Un’occasione che soprattutto il Clero abruzzese deve saper cogliere. Benedetto XVI ha “sdoganato” Celestino: non ci sono più alibi.

© Copyright Il Messaggero, 4 luglio 2010

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