lunedì 18 ottobre 2010

Medio Oriente, le religioni insieme per il bene comune (Mazza)

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Chiedo scusa per la latitanza :-))

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Medio Oriente, le religioni insieme per il bene comune

DA ROMA

SALVATORE MAZZA

Lavorare per la pace, sempre cercando il dialogo e rifiutando ogni contrapposizione. Su queste direttrici, che nella prima settimana del Sinodo sul Medio Oriente in corso in Vaticano si sono imposte un po’ come le linee-guida dei lavori, sembra destinato a muoversi anche il Messaggio finale dell’Assemblea, la cui bozza, presentata ieri in aula da monsignor Cyrille Salim Bustros e da monsignor William Shomali – rispettivamente presidente e vicepresidente della Commissione sinodale per il Messaggio – si propone come un invito, non solo ai cristiani ma anche a ebrei e musulmani, a lavorare insieme per il bene comune.
Nel testo, sul quale è già iniziata la discussione e che, dopo la revisione, sarà ripresentato in aula e votato venerdì prossimo, risuonano diversi appelli, che riassumono tutto quanto emerso nella prima settimana di lavoro. In primo luogo quello ai fedeli delle Chiese locali, perché pur nelle oggettive difficoltà in cui si trovano a vivere perseverino e si impegnino nella testimonianza dell’amore di Dio. Quindi l’appello a tutti i cristiani del Medio Oriente, a proseguire con determinazione la strada del cammino ecumenico, e poi quello agli ebrei e ai musulmani, per un dialogo che li porti a lavorare insieme per garantire i diritti umani e la dignità della persona.
Non manca, nella bozza del messaggio, il ri­chiamo che il Sinodo rivolge da una parte ai politici del Medio Oriente perché si sforzino di favorire la sicurezza sociale, la stabilità politica, la fine della corsa agli armamenti, e, dall’altra, alla comunità internazionale. Questa, in particolare, è sollecitata a non far mancare il proprio indispensabile contributo per la giustizia e la pace nella regione, perché si ponga fine alla guerra in Iraq e al conflitto israelo- palestinese e si promuova il rispetto della libertà di culto e di coscienza. Nel testo, infine, c’è ancora un richiamo al problema dell’esodo dei cristiani, visto tuttavia in chiave positiva come occasione, per i cristiani migranti, di portare nel mondo la loro fede e la loro cultura, guardando al futuro con fiducia e gioia.
Proprio sul tema dell’esodo s’era soffermato il vescovo armeno di Damasco e primate di Siria Armash Nalbandian, secondo il quale la causa principale dell’emigrazione dei cristiani dal Medio Oriente «spesso è il piano delle politiche occidentali o internazionali, quando ignora l’esistenza dei cristiani in Medio Oriente e in Terra Santa » e «quando accusa i nostri Paesi o le nostre società di essere terroristici». Per Nalbandian «un Paese islamico non significa automaticamente un Paese terrorista» e «il dialogo interreligioso spesso necessita di grandi sforzi per trovare una via comune... nonché per accettare e rispettare il fatto che anche l’Islam contiene i principi d’amore, pace, solidarietà e la testimonianza di un Dio misericordioso».
Nel pomeriggio di venerdì, i lavori si erano soffermati sull’importanza di un’educazione basata sulla libertà, «questione capitale», in una società composta da una pluralità di religioni, per raggiungere una «convivenza armoniosa ». Tra gli interventi anche quello del cardinale William J. Levada, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il quale, parlando su «la comprensione del ruolo del Papa nella tradizione apostolica», nel fare riferimento alla citazione fatta dall’Intrumentum Laboris dell’Enciclica di Giovanni Paolo II Ut unum sint , circa «la responsabilità ‘di trovare una forma di esercizio del primato (petrino)... che si apra ad una situazione nuova, tenendo presente la duplice tradizione canonica latina e orientale», ha annunciato che «in questo contesto prevederei uno studio e uno scambio di opinione utili su come il ministero del Successore di Pietro... potrebbe essere esercitato in modi diversi, secondo le diverse necessità».

© Copyright Avvenire, 17 ottobre 2010

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