mercoledì 30 dicembre 2009

Motu proprio "Omnium in mentem": i diaconi non sono dei mini-preti e quindi non possono svolgere le funzioni dei sacerdoti (Bevilacqua)


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PRIMO PIANO
Di Di Andrea Bevilacqua

Vaticaneide - Il Papa, con il suo motu proprio Omnium in mentem, ha messo i puntini sulle i

Essi non sono dei mini-preti e quindi non possono svolgere le funzioni dei sacerdoti

Ha fatto poco notizia, anche se merita se ne parli, il motu proprio Omnium in mentem pubblicato da Papa Benedetto XVI. Merita perché, dopo anni incertezze, finalmente è stata fatta chiarezza circa il ruolo dei diaconi nella Chiesa.
In diverse parti del mondo, infatti, soprattutto nei paesi del Nord Europa, i diaconi (molti di questo sono laici e tecnicamente si chiamano diaconi permanenti) sovente arrivano quasi a svolgere, senza di fatto averne il permesso, il ruolo dei preti.
Il Papa, invece, stabilisce, con un modifica del nuovo codice di diritto canonico, che tra diacono e presbitero (e dunque vescovo) c'è una netta differenza. E che questa differenza va rispettata.
Recita, infatti, così il motu proprio papale: «Coloro che sono costituiti nell'ordine dell'episcopato o del presbiterato ricevono la missione e la facoltà di agire nella persona di Cristo Capo, i diaconi invece vengono abilitati a servire il popolo di Dio nella diaconia della liturgia, della parola e della carità». In sostanza, i diaconi non agiscono come i preti in persone di Cristo: a loro non è mai stato concesso questo potere.
Fu nel 1967 con il motu proprio Sacrum Diaconatus Ordinem, che Papa Paolo VI introdusse nella Chiesa latina la figura del diacono permanente, mentre fino ad allora si era trattato semplicemente di una tappa intermedia nel cursus honorum dei seminaristi. L'accesso a tale grado dell'Ordine sacro (il primo, data la poco posteriore abolizione del suddiaconato con la lettera apostolica Ministeria quaedam del 1972) venne inoltre consentito anche a chi fosse già ammogliato, mentre una volta ricevuta l'ordinazione diaconale non è più possibile sposarsi o risposarsi.
Una figura, quella del diacono permanente, che tradendo l'idea propria di Paolo VI viene usata in certi ambienti (non sempre, ma comunque spesso) e in certe comunità locali per premere sull'abolizione del celibato ecclesiastico: la figura del diacono permanente uxorato, infatti, è vista come «prova generale» perché in futuro cada la consuetudine che prevede il celibato per i preti.
Anzi gli stessi diaconi permanenti sono considerati come una sorta di vivaio per il loro accesso al pieno sacerdozio. Ma, sul celibato dei preti, Benedetto XVI è stato sempre molto chiaro: rappresenta un valore al quale occorre sempre rifarsi.
L'altra modifica introdotta dal motu proprio interessa meno la liturgia e l'ecclesiologia e riguarda invece il fatto che i battezzati apostati non sono più equiparati ai non battezzati, ai fini della disciplina matrimoniale.
Pertanto, mentre un matrimonio civile tra non battezzati è considerato dalla Chiesa valido (e quindi in principio indissolubile), non è così invece per quello tra battezzati, e non importa più se uno ha ripudiato il suo battesimo: per i battezzati il matrimonio solo civile è, agli occhi della Chiesa, inesistente e non preclude un successivo matrimonio religioso con altra persona. Insomma: gli sbattezzati che si son sposati in Comune fino a ieri non potevano mollare il coniuge e contrarre un matrimonio in Chiesa con qualcun altro. D'ora innanzi invece sì.

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1 commento:

Anonimo ha detto...

Andrea Bevilacqua scrive: “ha fatto poca notizia …”. Questo non dipende da chi legge o ascolta, bensì da chi pubblica. Sono un diacono -non un mini-prete- e mi meraviglio che proprio una questione cosi delicata, lei lo conferma dicendo: “merita che se ne parli”, venga pubblicata 10 giorni prima di Natale e annessa a un’altra questione altrettanto importante come il matrimonio, ma ben lontana dal Sacramento dell’Ordine. Che è vocazione per SERVIRE gli altri è rinuncia, forse, a una brillante carriera.
Lei continua, tra l’altro, nel suo scritto: “ Dopo anni di incertezze finalmente … chiarezza” – “soprattutto nei paesi del Nord Europa” – “Paolo VI introdusse nella Chiesa latina il diacono permanente” – “ … tradendo l’idea propria di Paolo VI …”.
Si rende conto Bevilacqua delle cose che scrive? Ho qualche dubbio!
Due mila anni sono trascorsi e finalmente la chiesa gerarchica ha capito che cosa è, o chi è il diacono? Per fortuna che i due mila anni di storia della CHIESA documentano diversamente.
Non penso che lei conosca i paesi del Nord Europa, ma se il diacono non è stato preparato prima dell’Ordinazione o il laico si “crede” diacono, è da chiederlo alla Chiesa locale come mai avviene quello che lei scrive.
Io le parlo della diocesi di Assisi (Italia); un signore prima aiuta il vescovo, Mons. Goretti, nell’amministrazione curiale, si separa dalla moglie e dopo un anno diventa diacono. Secondo caso ex sindaco di Assisi, scade il mandato e dopo alcuni mesi diventa diacono. Non sarebbe meglio pensare alla preparazione dei diaconi in Italia che esercitano il loro ministero in forma permanente, cosi come gli Apostoli ci hanno insegnato e ci insegnano tutt’oggi? Anziché scrivere un nuovo Motu Proprio?
Il Ministro diacono nella Chiesa latina esiste da sempre e in più Concili si è parlato di ripristinarlo, se fosse vero che: “l’idea di Paolo VI è stata tradita”; la colpa non è da imputare ai diaconi.
La mia esperienza mi dice che sono i preti, a chiamare i diaconi “mezzi preti”, ma attribuire al diacono che si crede di essere prete è ingiusto. Mentre manca, in maniera totale, il rispetto vicendevole dei ruoli e dei compiti che ogni Ministro Ordinato dovrebbe saper svolgere. È un rinnegare l’insegnamento oltre che millenario della Chiesa non riaffermare che il Ministro Ordinato opera in Persona Christi Capitis.

Francesco Weber – diacono