venerdì 5 febbraio 2010

Dal Papa appelli epocali per un nuovo impegno dei Cattolici nella vita pubblica (Luca Diotallevi)


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Verso la quarantaseiesima Settimana sociale dei cattolici italiani

Una nuova stagione non può più essere solo attesa

di Luca Diotallevi

Il cammino di preparazione alla quarantaseiesima Settimana sociale dei cattolici italiani - a Reggio Calabria dal 14 al 17 ottobre prossimi - è giunto al suo punto intermedio. Si pensava a una sfida impegnativa e avvincente, ma non così tanto. Per un verso, la preparazione della Settimana sociale attraversa un tornante storico molto duro. Bastava l'accelerazione dei processi di globalizzazione a mettere in discussione schemi consolidati entro i quali pensare e pensarsi. Si tratta infatti di mutamenti che, come ha scritto Benedetto XVI, impongono di rinnovare pensieri e programmi (cfr. Caritas in veritate, 32 e 78). Ma a tutto questo si è aggiunta una doppia crisi. A quella strutturale dell'Europa continentale è seguita quella congiunturale e acutissima, annunciatasi come crisi finanziaria ma rivelatasi crisi economica e non solo economica. Inoltre, confrontarsi con questo scenario dall'interno del caso italiano, significa avvertire ancor più il peso di fattori negativi come il debito pubblico, la crisi demografica, la fatica crescente del convenire intorno a riferimenti etici e istituzionali, l'attacco a motori di qualità civile come la famiglia, la fatica del continuare a fare lavoro e a fare impresa in mercati sovraccarichi di condizionamenti impropri, il mancato aggiornamento del sistema politico, un Paese a continue tensioni territoriali e anche a ricorrenti fibrillazioni ideologiche.
Per altro verso, la preparazione della Settimana sociale si è trovata a fare i conti con un'eredità impegnativa alla quale si sono sommate aspettative eccezionali. Il quarto Convegno ecclesiale nazionale (a Verona nel 2006) aveva richiamato le dimensioni profonde, larghe, lunghe e alte dello sperare cristiano: ci aveva posto di fronte Gesù Risorto nostra speranza, e Benedetto XVI in quella circostanza aveva ricordato il "grande sì" che in Gesù Cristo Dio dice all'uomo e l'uomo a Dio e aveva invitato a porre il nostro "sì" dentro quel "grande sì". La Settimana sociale del centenario (a Pisa e Pistoia nel 2007) aveva riaffermato la responsabilità dei cristiani per il bene comune della città. Insediando il nuovo comitato delle Settimane sociali, i vescovi italiani avevano chiesto di rinnovare la coscienza di questa responsabilità anche oltre il circuito di coloro che sono già impegnati nei vari settori dell'animazione cristiana, delle realtà temporali e della pastorale sociale.
Tutto questo, infine, reagiva positivamente con la crescente intenzione del laicato cattolico ad assumere sino in fondo tutti i propri diritti e tutti i propri doveri nella Chiesa e nella città. A questo laicato la Caritas in veritate ricorda che non sono certo globalizzazione o crisi finanziaria a giustificare la dismissione della prospettiva dello sviluppo né l'attenuazione del riferimento al bene comune con le sue dinamiche di condivisione e di sussidiarietà.
Tali aspettative sono culminate in due richiami di Benedetto XVI - a Cagliari nel settembre 2008 e un anno dopo a Viterbo - che è davvero difficile non definire epocali. In breve: urge una "nuova" generazione di credenti capaci di essere protagonisti nella multiforme vita pubblica della comunità nazionale e non da ultimo in quella politica. Il presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei), cardinale Angelo Bagnasco, proprio la settimana scorsa ha ripreso tale istanza e ha ricordato come implichi un costante esercizio di libertà, di passione per la verità, di coscienza.
Circa un anno fa, il Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane sociali ha compreso di non poter chiudere gli occhi di fronte a queste sfide straordinarie e di non potersi sottrarre a queste straordinarie aspettative. Alle realtà ecclesiali e alle varie espressioni del cattolicesimo italiano, e poi anche oltre questo orizzonte, ha proposto di partecipare a un processo di discernimento che tentasse di individuare una lista breve di problemi cruciali, quelli dalla cui soluzione dipende primariamente nell'ordine pratico un incremento o un decremento di bene comune.
Cercare problemi cruciali, agendo la visione del bene comune dall'interno dell'Italia contemporanea, significa anche riconoscere i soggetti reali in virtù dei quali a particolari assetti sociali e istituzionali se ne possono realisticamente sostituire degli altri. Cercare una lista breve di problemi prioritari significa segnalare punti di partenza precisi. Come dire: dove la vita, la famiglia, la dignità della persona, il lavoro, la conoscenza e la creatività sono più a rischio? E - nello stesso tempo - dove la loro energia e la loro responsabilità possono generare alternative per più bene comune, per riprendere a crescere?
La scommessa della Settimana sociale è quella di proporre ai cattolici, e a tutta l'opinione pubblica nazionale, una lista breve di nodi concreti e realisticamente affrontabili da cui dipende una ripresa orientata al bene comune. Una sfida anche culturalmente ardua, se è vero che implica tra le altre cose la contestazione di un'idea di spazio pubblico impermeabile alle ragioni dell'esperienza cristiana.
Che ne è di questa scommessa a metà del cammino verso Reggio Calabria? Almeno tre cose possono esser dette. L'invito al discernimento è stato raccolto in una misura che nessuno aveva immaginato. Chiese particolari, associazioni, movimenti, fondazioni, università, istituzioni non solo si sono messe in gioco ma spesso hanno addirittura rilanciato prendendo a lavorare non solo a un'agenda nazionale ma anche a un'agenda locale. Il Servizio nazionale per la pastorale giovanile della Cei ha inoltre varato un programma di forum regionali che porterà a Reggio Calabria centinaia di giovani con alle spalle un anno di lavoro specifico. Una grande convergenza sta emergendo dalle iniziative di discernimento locali e settoriali. La ricerca (ancora in corso) punta in alcune direzioni decisamente ricorrenti: la questione del lavoro e dell'impresa, di un intraprendere non intimorito dal mercato; l'emergenza educativa e il dovere di sostenere adulti che si assumono il difficile ruolo di essere autorità educative (innanzitutto nella famiglia e nella scuola); la ricerca delle vie dell'integrazione tra gli estremi dell'irenismo e del razzismo; il dovere di dare ai giovani opportunità di mobilità sociale; l'aggiornamento delle istituzioni politiche.
Questo processo, sempre più spesso, è vissuto e interpretato come un modo non rituale di partecipare alla preparazione del centocinquantesimo anniversario dell'unità d'Italia. Un modo per stare nel confronto sul presente e sul futuro dell'Italia (e non solo di questo Paese) liberi da miti e da nostalgie, liberi di assolvere con più coraggio la responsabilità per il bene comune. Una nuova stagione non può essere solo attesa.

(©L'Osservatore Romano - 6 febbraio 2010)

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