mercoledì 10 febbraio 2010

Il Papa: guardando la croce si capisce la grandezza della dignità umana (AsiaNews)


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Papa: guardando la croce si capisce la grandezza della dignità umana

Il valore dell’uomo si comprende pensando a quanto Dio ha accettato di soffrire per lui. Una riflessione che viene dal pensiero di Sant’Antonio da Padova, alla figura del quale Benedetto XVI ha dedicato il discorso per l’udienza generale. In tempi di crisi “l’economia ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento e non di un’etica qualsiasi ma di un’etica amica della persona”.

Città del Vaticano (AsiaNews)

La grandezza della dignità umana e il valore dell’uomo appaiono in pieno “nello specchio del Crocefisso”, nel vedere come Dio ha accettato di soffrire per l’uomo. E’ “l’importanza del Crocefisso per la nostra cultura, per il nostro umanesimo nato dalla fede cristiana”, illustrata oggi d Benedetto XVI, prendendo spunto dalla figura di Sant’Antonio da Padova.
Un santo che fa parte della prima generazione dei Frati minori, che “pose le basi della teologia francescana”, “ha contribuito in modo significativo allo sviluppo della spiritualità francescana” e che, in un periodo di crescita economica, raccomandava di non dimenticare i poveri. “Un insegnamento - ha commentato il Papa - molto importante e attuale”. Ricordando quanto scritto nella Caritas in veritate, Benedetto XVI ha infatti detto che “quando la crisi economica e i gravi squilibri economici impoveriscono non poche persone l’economia ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento e non di un’etica qualsiasi ma di un’etica amica della persona”.
Alle ottomila persone presenti in Vaticano per l’udienza generale il Papa ha ricordato che il santo “uno dei più popolari di tutta la Chiesa cattolica, venerato non solo a Padova, ma in tutto il mondo”, nacque a Lisbona nel 1195 da una nobile famiglia. Battezzato col nome di Fernando, entrò da giovane nei canonici che seguivano la regola monastica di Sant’Agostino. L’interesse per lo studio della Bibbia e dei Padri gli fecero acquistare “una scienza teologica che mise a frutto nelle attività di insegnamento e predicazione”.
Avvenimento fondamentale della sua vita fu quanto accadde nel 1220 a Coimbra, dove furono portate le reliquie dei primi cinque missionari francescani in Marocco dove avevano incontrato il martirio. Nel giovane Ferdinando nacque il desiderio di imitarli. Chiese di lasciare i canonici e di entrare nei francescani. Partì per il Marocco. Ammalatosi, si recò ad Assisi, dove nel 1221, partecipò al famoso “Capitolo delle stuoie” e dove “incontrò anche san Francesco. Successivamente, visse per qualche tempo nel totale nascondimento in un convento presso Forlì, nel nord dell’Italia, dove il Signore lo chiamò a un’altra missione. Invitato, per circostanze del tutto casuali, a predicare in occasione di un’ordinazione sacerdotale, mostrò di essere dotato di tale scienza ed eloquenza, che i Superiori lo destinarono alla predicazione”.
Iniziò così “un’attività apostolica tanto intensa ed efficace da indurre non poche persone che si erano staccate dalla Chiesa a ritornare sui propri passi. Fu anche tra i primi maestri di teologia dei Frati Minori, se non proprio il primo. Iniziò il suo insegnamento a Bologna, con la benedizione di Francesco, il quale gli inviò una breve lettera, che si apriva con queste parole: ‘Mi piace che insegni teologia ai frati’. Antonio pose le basi della teologia francescana”.
Fu successivamente superiore provinciale dei francescani dell’Italia settentrionale e, concluso tale incarico si ritirò vicino a Padova dove altre volte si era recato. Meno di un anno dopo, nel 1231, morì. “Padova gli tributò per sempre onore e devozione. Gregorio IX, che “dopo averlo ascoltato predicare lo aveva definito Arca del Testamento, lo canonizzò solo un anno dopo la morte nel 1232, anche in seguito ai miracoli avvenuti per sua intercessione”. Pio XII nel 1946 lo ha proclamato dottore della Chiesa, attribuendogli il titolo di “Dottore evangelico”, perché dai suoi scritti “emerge la freschezza e la bellezza del Vangelo; ancora oggi li possiamo leggere con grande profitto spirituale”.
Dei due cicli di sermoni che Antonio mise per iscritto, i “Sermoni domenicali” e i “Sermoni sui Santi”, Benedetto XVI ha sottolineato in particolare quanto il santo disse sulla preghiera. “Antonio ci ricorda che la preghiera ha bisogno di un’atmosfera di silenzio che non coincide con il distacco dal rumore esterno, ma è esperienza interiore, che mira a rimuovere le distrazioni provocate dalle preoccupazioni dell’anima, creare il silenzio nell’anima stessa”. La preghiera “è articolata in quattro atteggiamenti, indispensabili”, che tradotti dal latino sono: “aprire fiduciosamente il proprio cuore a Dio, colloquiare affettuosamente con Lui, presentargli i nostri bisogni, lodarlo e ringraziarlo”.
“Anche la visione del Crocifisso gli ispira pensieri di riconoscenza verso Dio e di stima per la dignità della persona umana, così che tutti, credenti e non credenti, possano trovarvi un significato che arricchisce la vita”. Scrive Antonio: “Cristo, che è la tua vita, sta appeso davanti a te, perché tu guardi nella croce come in uno specchio. Lì potrai conoscere quanto mortali furono le tue ferite, che nessuna medicina avrebbe potuto sanare, se non quella del sangue del Figlio di Dio. Se guarderai bene, potrai renderti conto di quanto grandi siano la tua dignità umana e il tuo valore... In nessun altro luogo l’uomo può meglio rendersi conto di quanto egli valga, che guardandosi nello specchio della croce”. “Meditando queste parole – ha commentato il Papa - possiamo capire meglio l’importanza dell’immagine del Crocifisso per la nostra cultura, per il nostro umanesimo nato dalla fede cristiana”.
Un ultimo pensiero, Benedetto XVI ha dedicato a “coloro che si dedicano alla predicazione. Questi, traendo ispirazione dall’esempio di Antonio, abbiano cura di unire solida e sana dottrina, pietà sincera e fervorosa, incisività nella comunicazione”.

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