lunedì 1 febbraio 2010

Il Papa interviene su Fiat e Alcoa. Grande commozione a Termini Imerese per le parole del Santo Padre (Gasparroni)


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Il Papa interviene su Fiat e Alcoa Quei posti di lavoro vanno salvati

Grande commozione a Termini Imerese per le parole del Santo Padre

Fausto Gasparroni

Roma
Fare «tutto il possibile» per salvare i posti di lavoro, con «grande senso di responsabilità da parte di tutti», in particolare in «realtà difficili» come Termini Imerese (Palermo) e Portovesme (Carbonia-Iglesias).
L'appello di Benedetto XVI sull'occupazione, lanciato ieri all'Angelus, è entrato nel merito delle vertenze più calde del momento, come quella dello stabilimento Fiat di Termini Imerese e dell'Alcoa di Portovesme, entrambi sotto minaccia di chiusura.
E ha raccolto il plauso dei sindacati e dei ministri Maurizio Sacconi (Welfare) e Claudio Scajola (Sviluppo economico).
«La crisi economica sta causando la perdita di numerosi posti di lavoro, e questa situazione richiede grande senso di responsabilità da parte di tutti: imprenditori, lavoratori, governanti», ha detto il Papa. «Penso ad alcune realtà difficili in Italia – ha sottolineato – come, ad esempio, Termini Imerese e Portovesme. Mi associo pertanto all'appello della Conferenza episcopale italiana – ha aggiunto il Pontefice –, che ha incoraggiato a far tutto il possibile per tutelare e far crescere l'occupazione, assicurando un lavoro dignitoso e adeguato al sostentamento delle famiglie».
Tra i tanti fedeli riuniti in una Piazza San Pietro sferzata dalla insistente pioggia ieri c'erano anche alcuni dei duemila lavoratori dell'Alcoa, con gli elmetti in testa e uno striscione. Almeno 500 operai, poi, sono attesi a Roma dalla Sardegna per domani, in concomitanza con la riunione a Palazzo Chigi, tra i vertici della multinazionale dell'alluminio, i rappresentanti del governo e della Regione Sardegna, le organizzazioni sindacali.
Le accorate parole del Papa, dopo che nei giorni scorsi anche il segretario generale della Cei, monsignor Mariano Crociata, aveva richiamato a «raccogliere il grido delle famiglie che restano senza lavoro», sono state accolte molto positivamente dai vertici sindacali che non hanno esitato a rilevare che l'appello di Benedetto XVI «non può cadere nel vuoto» (Luigi Angeletti, Uil) e che «possa scuotere le coscienze di tutti» (Raffaele Bonanni, Cisl).
Prima di parlare di occupazione, Ratzinger all'Angelus aveva ricordato che «la carità è il distintivo del cristiano. È la sintesi di tutta la sua vita: di ciò che crede e di ciò che fa». Al termine, dopo aver parlato anche della Giornata mondiale (ieri) dei malati di lebbra e della Giornata di intercessione per la pace in Terra Santa, affacciandosi con due ragazzi dell'Azione cattolica della diocesi di Roma ha liberato dalla finestra due colombe, simbolo di pace. Nel salutare e ringraziare i circa cinquemila bambini e ragazzi dell'Acr partecipanti all'annuale «Carovana della Pace», ha quindi definito la loro iniziativa «un segno di speranza». Una «speranza» che forse ieri, con le sue parole, è entrata anche nel cuore di tanti lavoratori che sono a serio rischio disoccupazione.
«Il Papa ha fatto un gesto bellissimo, che tutti noi abbiamo apprezzato tantissimo», ha detto Roberto Mastrosimone, delegato sindacale della Fiom-Cgil e leader degli operai della Fiat di Termini Imerese.
«Ho sentito al Tg3 – ha continuato Mastrosimone – le parole pronunciate dal Pontefice all'Angelus e mi hanno commosso, anche perché nessuno di noi lo aveva sollecitato pubblicamente a intervenire.
Lo dico da non cattolico: Benedetto XVI ha dimostrato una percezione del dramma sociale che si sta consumando che la politica invece sta ignorando. A cominciare dal presidente del Consiglio Berlusconi, che non ha ancora detto una parola su quanto sta accadendo alla Fiat».
«Commosso e felice» per l'appello del Papa si dice anche Don Franco Anfuso, arciprete di Termini Imerese, che in questi anni è stato accanto agli operai in lotta e che nei giorni scorsi è salito sul tetto dello stabilimento per portare conforto ai 18 lavoratori dell'indotto che avevano ricevuto una lettera di licenziamento.
«Non trovo le parole per esprimere il ringraziamento mio e di tutti i fedeli di Termini Imerese per l'interessamento del Pontefice. Il Papa dimostra, ancora una volta, di essere la voce di una Chiesa vicina alle persone che sono in difficoltà, agli ultimi, agli emarginati».
L'arciprete invita anche l'Ad della Fiat Sergio Marchionne ad ascoltare «l'alto richiamo» di Benedetto XVI: «Il Signore ha dato a ciascuno di noi dei doni per metterli al servizio degli altri. Marchionne impieghi le sue capacità di manager e il suo carisma per trovare una soluzione che consenta agli operai di Termini Imerese e alle loro famiglie di continuare ad avere un lavoro».

E i cinesi "emigrano" da... Prato

La crisi pesa anche sulle imprese cinesi del distretto pratese. Negli ultimi sei mesi, per la prima volta in 15 anni, è negativo il saldo fra ditte avviate e aziende cessate dagli imprenditori orientali: 218 unità in meno. Lo confermano dai dati dell'Osservatorio provinciale sul lavoro. Gran parte dei 10.800 cinesi residenti in città, per la maggior parte operai nelle ditte d'abbigliamento, sono stati licenziati e riassunti con forme alternative di contratto. Un quinto degli occupati del comparto dell'abbigliamento – per il 96% nati in Cina – in un anno ha cambiato più di un lavoro. La crescita del tempo determinato fra i cinesi presenta una percentuale a 4 cifre: il 1.700% in dodici mesi.
Difficile stabilire, fra regolare e sommerso, il calo di fatturato delle confezioni cinesi. Dei 2 miliardi di euro stimati lo scorso anno, 200 milioni sono sfumati. Nell'ultimo trimestre 2009, secondo i dati dell'Unione industriale, l'export pratese di abbigliamento e maglieria, in buona parte cinese, è calato del 3,6%. Chi produce abiti ha abbassato i prezzi. Va peggio a chi lavora nell'import. I cinesi dicono che «c'è poco lavoro» e confermano i dati Istat che a livello nazionale hanno registrato una contrazione annua del 18,7% dei capi prodotti in Cina: 21 milioni di euro in meno.
Meno italiani e meno commercianti dell'est europeo vengono a Prato a comprare dai cinesi perché temono d'incappare in fornitori irregolari e controllati. Molte aziende cinesi chiudono a Prato e riaprono in Emilia.

© Copyright Gazzetta del sud, 1° febbraio 2010

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