venerdì 19 febbraio 2010
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Qual è l’identikit del sacerdote secondo il Papa? Certamente egli è «un uomo di Dio». Ma «uomo in tutti i sensi », dunque chiamato a coltivare intelligenza, sentimenti e affetti secondo la volontà del Creatore. Tuttavia l’aggettivo «umano» non va inteso come qualcosa che, secondo la mentalità comune, include e quasi giustifica l’arrendevolezza rispetto al peccato. Per Benedetto XVI è tutto il contrario e il vescovo di Roma lo dice apertamente ai suoi sacerdoti, nel tradizionale incontro di inizio Quaresima, in Vaticano. «Si dice: 'Ha mentito, è umano, ha rubato, è umano'.
Ma questo non è il vero essere umano. Umano è essere generoso, umano è essere buono, umano è essere un uomo della giustizia e quindi uscendo, con l’aiuto di Cristo, da questo oscuramento della nostra natura, è un processo di vita che deve cominciare nell’educazione al sacerdozio ma che deve realizzarsi e continuare in tutta la nostra vita».
L’incontro di quest’anno, nell’ampia Aula delle Benedizioni, si svolge secondo una modalità nuova. Non più il consueto 'botta e risposta' tra il Papa e i sacerdoti capitolini, ma una vera e propria Lectio divina del Pontefice, che prende spunto da tre passi dei capitoli 5, 7 e 8 della Lettera agli Ebrei. Ed è proprio a partire da questi versetti del Nuovo Testamento, che papa Ratzinger ricava il suo identikit di sacerdote e ricorda che il peccato non è mai umano.
Il prete, fa notare Benedetto XVI, è un uomo che vive e soffre ogni giorno con gli altri per portare a Dio le miserie del mondo. Ecco perché il suo ministero non può ridursi a un’occupazione part time né esaurirsi nella pura contemplazione della verità: il sacerdote deve entrare come Cristo al centro della passione, dei dolori, delle tentazioni del mondo, per fare da «mediatore» e «ponte» tra il divino e l’umano.
Perciò il prete è anzitutto un uomo pienamente realizzato, con un cuore votato alla «compassione». Non è il peccato, ha osservato il Papa, il segno della «solidarietà» verso la debolezza umana, ma la forza di condividerne il peso per redimerlo e purificarlo, con quella stessa capacità di commuoversi che ebbe Gesù in vita e che gli permise di portare il suo grido di compassione «fino alle orecchie di Dio».
La conseguenza sul piano pratico è che il presbitero non può vivere in una sorta di distacco platonico dalle cose del mondo, ma deve prendere su di sé quotidianamente la sofferenza del suo tempo, della sua parrocchia, delle persone affidate a lui. «Noi sacerdoti – ha sottolineato Benedetto XVI a questo proposito – non possiamo ritirarci in un esilio, ma siamo immersi nella passione di questo mondo e dobbiamo con l’aiuto di Cristo, in comunione con Cristo, cercare di trasformarlo, di portarlo verso Dio».
Proprio Gesù, e in particolare il Gesù del Getsemani che piange e si confronta col mistero della morte, resta il modello con cui confrontarsi. Per questo il Papa ricorda che il sacerdote non può limitarsi all’atto cultuale della liturgia eucaristica: anche l’accettazione e l’offerta delle sofferenze nella vita pastorale, ricorda il Pontefice, è azione sacerdotale in senso pieno. Dunque non c’è contrasto tra la libertà del prete e l’obbedienza alla volontà di Dio. Certo, riconosce Benedetto XVI, l’obbedienza «è una parola che non piace a noi nel nostro tempo». Ci appare «come una alienazione, come un atteggiamento servile. Invece della parola obbedienza, vogliamo come parola chiave antropologica libertà . Ma considerando da vicino questo problema, vediamo che queste due cose vanno insieme». La volontà di Dio, infatti, «non è una volontà tirannica, ma è proprio il luogo dove troviamo la nostra vera identità. Preghiamo realmente il Signore, perché ci aiuti a vedere intimamente che questa è la libertà e di entrare così con gioia in questa obbedienza e di raccogliere l’essere umano e portarlo – con il nostro esempio, con la nostra umiltà, con la nostra preghiera, con la nostra azione pastorale – nella comunione con Dio».
Naturalmente, però, l’accento sulla vicinanza all’uomo non deve far dimenticare quello che è il centro della vita sacerdotale e cioè l’Eucaristia. Nel corpo di Gesù, spiega il Pontefice, il Padre ha creato la sua tenda nel mondo, la sua nuova Gerusalemme, divina e insieme umana. In sostanza l’Eucaristia rappresenta perciò «la pace di Dio con l’uomo». Di qui l’appello ai preti perché siano fedeli ministri di questo sacramento anche nella loro vita.
L’incontro si è svolto in un clima di sereno raccoglimento. E a ogni sacerdote il Papa ha donato il volume Cari sacerdoti , un’antologia di testi di Papa Montini, quando era arcivescovo di Milano, curato da padre Leonardo Sapienza. Perché l’identikit fosse più completo.
© Copyright Avvenire, 19 febbraio 2010
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