martedì 9 marzo 2010

Perché solo la Chiesa ammette i propri peccati? La pedofilia e la strada (inconsueta) della trasparenza (Accattoli). Da incorniciare!


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Nigeria, attacco ai Cristiani. Sono cinquecento i morti

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Nel 2001 il documento "De delictis gravioribus" venne accolto dalla stampa in modo molto favorevole, persino da Repubblica! Ecco le prove

Il blog sollecita un immediato intervento della Santa Sede volto a spiegare A TUTTI la ratio del documento "De delictis gravioribus" del 2001

Perché solo la Chiesa ammette i propri peccati?

La pedofilia e la strada (inconsueta) della trasparenza

di Luigi Accattoli

Gli scandali possono essere utili e quello tragico della pedofilia ci aiuta ad aprire gli occhi.
Lo scandalo è di tutti ma l’accusa è alla Chiesa Cattolica e c’è una ragione giusta perché ciò avvenga – stante la forza di questa istituzione – e una sbagliata che è da cercare nel pregiudizio anticattolico così forte in Gran Bretagna, negli Usa e in Germania, cioè nei paesi dove più forte è stato il fuoco dei media sulla Chiesa di Roma.
Ora è il turno della Germania e la fiamma raddoppia perché il Papa è tedesco.
In Germania dal 1995 sono stati denunciati 210 mila casi di abusi su minori e quelli coinvolgenti la Chiesa cattolica sarebbero 94: ce n’è per tutti. Anche in questi giorni sono emersi casi non riconducibili al clero cattolico, come quello della prestigiosa scuola Odenwald (Oso) di Heppenheim, nota per il metodo pedagogico del «libero sviluppo di ogni allievo»: si parla di un alto numero di casi – tra i cinquanta e i cento – a partire dal 1971.
Dunque a far male non c’erano solo i gesuiti del Collegio Canisius di Berlino, i benedettini di Ettal in Baviera, i superiori del collegio dei cantori di Regensburg. Il male comune ovviamente non è un mezzo gaudio, ma la percezione che il dito puntato di preferenza verso il mondo cattolico sia spesso dovuto a pregiudizio anticattolico è diffusa tra i responsabili della Chiesa di Roma.
Già l’ottobre scorso l’arcivescovo Silvano Tomasi, Osservatore permanente alle Nazioni Unite di Ginevra, aveva reagito a un attacco venuto in quella sede da Porteous Wood, rappresentante dell’Unione Internazionale Etica e Umanista, che si era espresso così, rivelando il convincimento che se c’è pedofilia nel mondo la colpa è di Roma: «Le molte migliaia di vittime degli abusi meritano che la comunità internazionale ne chieda conto al Vaticano». Tomasi ribattè allora che «come la Chiesa Cattolica si è adoperata per fare pulizia in casa propria, sarebbe bene che altre istituzioni e autorità, dove la maggior parte degli abusi sono stati segnalati, potessero fare lo stesso, e ne informassero i media».
Tomasi fece allora riferimento a statistiche del giornale Christian Scientist Monitor, secondo le quali negli Usa le Chiese più colpite da accuse di abusi verso i bambini sarebbero quelle protestanti, e che vi sarebbero casi anche nelle comunità ebraiche, dei quali però si parla di meno.
Questa invocazione di una specie di “par condicio” nella denuncia dello scandalo è riecheggiata in una “nota” pubblicata sabato dall’Osservatore Romano con riferimento ai fatti di Regensburg: «La Santa Sede è grata per questo impegno di chiarezza all’interno della Chiesa e auspica che altrettanta chiarezza venga fatta anche all’interno di altre istituzioni, pubbliche e private, se veramente sta a cuore di tutti il bene dell’infanzia». È facile spiegare l’accanimento dei media sul clero cattolico: il mondo dei giornalisti è uno spontaneo sostenitore della “rivoluzione sessuale” e facilmente individua nel clero cattolico la maggiore resistenza a tale orientamento, da qui lo slancio con cui ne mette in luce – se può – le contraddizioni.
Ma è da credere che quell’uso strumentale dello scandalo non durerà a lungo: la linea della denuncia pubblica imboccata da Benedetto XVI toglierà legna al falò del pregiudizio.
Come si è visto nel caso tedesco, ora sono le Chiese locali a prendere l’iniziativa di rendere pubbliche le notizie che acquisisce sugli scandali. Si possono indicare tre tempi nella maturazione di questa scelta. Il primo, durato fino alla scandalo statunitense – che visse il maggior clamore nel 2004 – era caratterizzato dall’occultamento dei fatti.
Il secondo, dal 2004 al 2008, fu guidato dalla tendenza ad assecondare le indagini dei media e dei tribunali.
Il terzo, di cui si videro i primi segni in occasione dei viaggi statunitense e australiano di Benedetto XVI nella primavera e nell’estate del 2008, è segnato dalla decisione di prendere l’iniziativa nell’indagare, nel denunciare e nell’informare.
Fu a Washington e a Sidney che il Papa incontrò le vittime degli abusi e affermò che i colpevoli andavano processati e che la Chiesa avrebbe collaborato con i tribunali nel metterli sotto processo. Il caso tedesco sta portando a pienezza l’atteggiamento della collaborazione.
“Massima chiarezza sugli abusi in Germania”era il titolo dell’Osservatore Romano di sabato e questo era il sottotitolo: «La Chiesa opera con rigore per far luce su quanto accaduto in istituti religiosi».

www.luigiaccattoli.it

© Copyright Liberal, 9 marzo 2010 consultabile online anche qui.

2 commenti:

mariateresa ha detto...

Questo articolo risponde anche ai miei dubbi per esempio sulla strategia della Chiesa d'Olanda cioè la prassi incoraggiata di denunciare rivolta a chi si vuole fare avanti. E' una prassi coraggiosa senza dubbio ma con dei rischi alti.Di sicuro non è una prassi mediatica ed è finalizzata ad andare a fondo della questione in tutti i modi.
Anche a rischio di andare a fondo con la questione stessa.

Anonimo ha detto...

La Chiesa olandese sopravvissuta al catechismo ci riprova.Eufemia