martedì 20 aprile 2010

Nelle parole di Papa Benedetto si coglie immediatamente una sofferenza viscerale e lo sgomento, tutto presente, di un cristiano tra cristiani (Spano)


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Il racconto di Lawrence Grech che si dice "liberato" dall'incubo: «Ho visto Benedetto XVI piangere» (Stagno-Navarra)

VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE A MALTA (17-18 APRILE 2010): LO SPECIALE DEL BLOG

Su segnalazione di Eufemia leggiamo:

Wojtyla e Ratzinger, il coraggio di chiedere perdono

Giovanni Paolo II per primo riconobbe le colpe della Chiesa. L’attuale Papa impegnato nella lotta per la verità

di FRANCESCO SPANO

“CASTA, meretrix”, “santa e puttana”. Così definiva la Chiesa Sant’Ambrogio di Milano ed a nessun cristiano sfugge questa drammatica realtà. E’ quella di una Chiesa che è santa in virtù della grazia del suo Fondatore, ma che inevitabilmente è peccatrice per le colpe di coloro che la formano. Purtroppo, la massima ambrosiana trova decine di conferme nella storia, ma è la cronaca ad esprimerne la rappresentazione più drammatica. Di fronte a quello che qualcuno non ha esitato a definire uno dei momenti più bui della Chiesa negli ultimi 500 anni, non è più “soltanto” lo scandalo di essere connivente con le logiche del mondo o sedotta dal potere e dalla ricchezza a deturparne il volto, ma la vergogna di un crimine che non ha eguali e che come tale viene vissuto e giudicato da ogni uomo e da ogni donna; laico o credente che sia. “Vergogna e dolore”, allora, non possono che essere le parole con cui i credenti esprimono il proprio stato d’animo.
Vergogna e dolore per quei corpi feriti, per quelle innocenze profanate, per quella fiducia di cui si è abusato. Ma vergogna e dolore anche per quei silenzi che hanno coperto i responsabili, per quei timori che si sono trasformati in connivenza.
Vergogna e dolore, sono i sentimenti che ieri ha provato anche il Papa, incontrando a Malta alcune vittime di religiosi pedofili ed esprimendo loro la sua vicinanza con parole tanto drammatiche, quanto scarne; specialmente se dette da un Pontefice.. E quel gemito accorato e dolente non ha nascosto la rabbia e la delusione dell’uomo. Lo aveva già fatto qualche settimana fa, Benedetto XVI, quando, scrivendo alla Chiesa irlandese, non aveva esitato a parlare di scandalo, tradimento, crimine. Parole usate senza pudore, per stigmatizzare, fuori da ogni ipocrisia, una ferita profonda di cui la Chiesa si sente responsabile e per cui il suo pastore esprime esplicitamente condanna.
Alle orecchie dei più è risuonata l’eco grave delle parole di Giovanni Paolo II, che nel 2000 fu il primo a chiedere scusa per le colpe della Chiesa. Quella di oggi, però, è un’immagine lontana dall’icona ineffabile di un Papa che chiede scusa alle vittime dell’inquisizione, delle crociate o dell’incomprensione dogmatica dei secoli scorsi.
Nelle parole del Papa tedesco si coglie immediatamente una sofferenza viscerale e lo sgomento, tutto presente, di un cristiano tra cristiani. Grida la propria impotenza contro un’ingiustizia, ma sa di non potersi sottrarre al peso del proprio ruolo. Un ruolo che oggi, come non mai, appare in tutta la solitudine che comporta; anche quella di una Curia che, mentre tenta di stringerglisi intorno, rischia costantemente di inciampargli addosso.
Ratzinger non vuole dare risposte d’apparato, non crede alla politica del trionfalismo delle immagini e non vuole trincerarsi dietro all’intangibilità della sua persona, ma, mentre richiama tutta la Chiesa ad un reale cammino di penitenza e di profonda conversione interiore, compie atti di governo tanto incomprensibili alle masse, quanto dirompenti nella struttura ecclesiale. In quest’ottica devono leggersi le disposizioni che orientano la disciplina canonica.
Anzitutto le direttive secondo cui gli episcopati nazionali, senza reticenze o seguendo interpretazioni locali, devono collaborare con le magistrature secolari nelle indagini tese ad accertare le responsabilità dei religiosi in casi di pedofilia; anche provvedendo immediatamente a denunciarli. In secondo luogo dichiarando la disponibilità delle Chiese locali a compiere quanto necessario per il risarcimento delle vittime. Infine, disponendo di esser pronto ad applicare immediatamente la pena canonica della riduzione allo stato laicale a quei sacerdoti che i tribunali statali riterranno colpevoli di abusi su minori, senza interporre il filtro di un ulteriore processo canonico. Tutto ciò, che si esprime nella freddezza burocratica del diritto, corrisponde, in realtà, ad uno spirito di pulizia a cui il Papa pensa da tempo. Da quando, cioè, ancora Prefetto per la dottrina della fede, avocò a Roma ogni questione relativa agli abusi commessi dai preti, a quando, componendo le meditazioni per la Via Crucis del 2005, si soffermò “sulla sporcizia che c’è nella Chiesa e nel clero”. Lontano dal negazionismo che qualcuno vuole forzatamente vedere, come dal trionfalismo che qualcun altro, in modo miope, ancora suggerisce, Benedetto XVI porta avanti, con passo calmo ma deciso, la sua linea, convinto che solo la “verità ci farà liberi”. La verità che non può consentire al fango dei crimini commessi da alcuni di travolgere totalmente il bene che altri hanno fatto. La stessa verità che non può far sì che il bene fatto da molti, costituisca un alibi per nascondere il tanto male fatto da pochi. Fermo, in questa certezza che gli viene dalla fede, Benedetto XVI ha voluto incontrare personalmente alcune vittime di abusi in occasione del suo primo viaggio apostolico a Malta, laddove 1950 anni fa l’Apostolo Paolo trovò rifugio da una tempesta. Da lì riparte il successore di Pietro, proprio mentre si compie il V anno di un pontificato che Egli volle inaugurare evocando l’immagine della Chiesa come quella di una piccola barca “sbattuta qua e là” dai venti e dal mare. Riparte ammettendo la propria vergogna e chiedendo scusa. Con umiltà e profondo dolore. Riparte tracciando una rotta che guidi la Chiesa a sanare il male fatto, ad invocare perdono e riconciliazione, a confessare senza ipocrisie il proprio peccato.
Perchè sa che è soltanto riconoscendo l’abbondanza della propria colpa che ci si apre alla “sovrabbondanza del perdono”.

© Copyright Il Messaggero, 20 aprile 2010

2 commenti:

Fabiola ha detto...

Adesso mi verrebbe da invocare un po' di silenzio, anche da parte degli articolisti "simpatizzanti". Stiamo annegando in un fiume di parole, non sempre così misurate e precise come l'argomento esigerebbe.
Rieccoci col"casta meretrix". Quando si mettono anche a far gli esegeti dei Padri della Chiesa sono sconfortanti. Non "casta e puttana" se non nel senso di una verginità che a tutti si dona per conquistarli a sè. Povero Ambrogio e povero mons. Biffi che lo spiegò di continuo ma inutilmente.

laura ha detto...

A sembra un bell'articolo o forse sono troppo ingenua