giovedì 8 luglio 2010

«Teologi al potere: al via il turn over di Benedetto XVI» (Paolo D'Andrea)


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Riceviamo e con grande piacere e gratitudine pubblichiamo:

«Teologi al potere: al via il turn over di Benedetto XVI»

Paolo D'Andrea

«Trionfo dei teologi sui diplomatici in Vaticano».
Così il sempre arguto vaticanista Usa John Allen ha interpretato la recente tornata di nomine che hanno sensibilmente modificato l’organigramma della cittadella d’Oltretevere.
L’originale chiave di lettura dell’ultimo turn over curiale non può certo pretendere di essere esaustiva: a sfatare l’idea suggestiva dei «teologi al potere» basta da solo il segretario di Stato Tarcisio Bertone, confermato di recente dal Papa stesso nel suo status di plenipotenziario della Curia romana, che per formazione non è né teologo né diplomatico, bensì canonista.
Nondimeno, la pista della Theologia triumphans coglie almeno in parte nel segno, se si tien conto del filo rosso che lega i nuovi arrivati nei Sacri Palazzi non tanto alla teologia tout court, quanto a una precisa linea teologica: quella identificata dalla rete sorta dal post-Concilio a oggi intorno alla rivista internazionale Communio, la rivista fondata nel 1972 dal grande teologo svizzero Hans Urs von Balthasar.
Il cardinale canadese Marc Ouellet, nuovo prefetto alla Congregazione vaticana per i vescovi – dicastero oltremodo strategico, che sovrintende la selezione del corpo episcopale in buona parte del mondo – è un veterano della “scuola di Communio“: essendo un balthasariano della prima ora, l’ex arcivescovo di Québec rimane anche oggi membro dei comitati editoriali della rivista. Hanno scritto diversi articoli su Communio anche l’arcivescovo Rino Fisichella – neo-presidente del Pontificio Consiglio creato ad hoc per la nuova evangelizzazione – e il vescovo svizzero Kurt Koch, chiamato a Roma da Basilea per dirigere il dicastero vaticano per l’ecumenismo.
Se poi si allarga lo sguardo, si deve prendere atto che il “marchio” Communio contraddistingue i profili umani e teologici di numerosi protagonisti di primo piano degli attuali scenari ecclesiali: dal Patriarca di Venezia Angelo Scola – il quale ha suggerito al Pontefice l’idea del nuovo dicastero vaticano affidato a Fisichella – al cardinale di Vienna Christoph Schönborn, fino al primate del Belgio Andrè Léonard, scelto dal Papa come successore di quel Godfried Danneels che per trent’anni aveva guidato l’arcidiocesi di Malines-Bruxelles (e che l’altro ieri, con una procedura dai tratti inquietanti, è stato sottoposto a un estenuante interrogatorio di dieci ore da parte della polizia belga nel quadro delle indagini sulla pedofilia).
Se si ripercorre la vicenda di Communio, si colgono implicazioni interessanti del processo che sta consacrando i teologi legati alla rivista tra i vip dell’attuale temperie ecclesiale.
In quella rivista si rispecchiò all’inizio degli anni Settanta la scommessa di buona parte della teologia post-conciliare: quella che negli anni della radicalizzazione progressista si era astenuta da plateali fughe in avanti. Lo stesso Balthasar ha raccontato che la prima idea di Cummunio nacque a tavola, in un’osteria sulla via Aurelia: il teologo svizzero visse l’inizio di quella avventura intellettuale come un compimento di un’antica profezia di Adrienne Von Speyr, la mistica sua grande amica e ispiratrice, che già nel 1945 lo aveva sollecitato a fondare una rivista. Nel 1965 era già nata la rivista Concilium: l’avanguardia dei teologi, galvanizzati dal ruolo avuto al Concilio Vaticano II, aveva aderito compatta a quel progetto, che realizzava l’idea di una “tutela” teologica sulla realizzazione della riforma conciliare. Ma l’unanimismo iniziale era durato poco: il rigido centralismo di Concilium, con la linea egemonizzata da figure radicali come Edward Schillebeeckx e Hans Küng, fini presto per creare insofferenza tra quei teologi riformatori che perseguivano una linea meno dialettica nei confronti del magistero della Chiesa. La proposta di una nuova rivista trovò subito l’adesione di teologi riformatori di primo piano, a cominciare da Joseph Ratzinger e Henri de Lubac. Secondo loro, la deriva imboccata da Concilium finiva per produrre una mondanizzazione della Chiesa che condannava il lievito evangelico all’irrilevanza. Mentre secondo Balthasar – come si legge nell’articolo programmatico di Communio scritto da lui stesso – «in nessun modo oggi bisogna liberare il cristianesimo dal campo di tensione. Se esso non è universalmente (cattolicamente) rilevante, allora cade, con tutti i suoi discorsi – siano essi pronunciati a partire dalla parola biblica o da un magistero ecclesiastico – nel letamaio dei rifiuti religiosi». Su tale prospettiva, a partire dalla metà degli anni Settanta, si costruisce una fitta rete di edizioni nazionali, una koinè cosmopolita che trovava il suo punto di unità negli articoli “di linea” scritti da Ratzinger, de Lubac e dallo stesso Balthasar, lasciando un certo margine di autonomia alle redazioni locali. Così, le edizioni sudamericane vennero in buona parte assorbite dalla polemiche con la Teologia della liberazione. Quella francese fu presa in mano da intellettuali e teologi che presto avrebbero trovato il loro punto di coagulo intorno al cardinale di Parigi Jean Marie Lustiger. In Italia, la rivista venne pubblicata dalla casa editrice Jaca Book e animata da giovani intellettuali di Comunione e liberazione.
Il Patriarca Scola ha raccontato con sottile umorismo la spedizione che lui e altri due ciellini fecero a Basilea per offrire la propria collaborazione a Balthasar: l’anziano teologo svizzero li rimandò a Ratzinger: «È lui» spiegò Balthasar «l’uomo decisivo per la teologia di Communio. È il perno della redazione tedesca. Io e De Lubac siamo vecchi. Andate da Ratzinger. Se lui è d’accordo…». Negli anni della sua lenta, silenziosa espansione, Communio ha sempre evitato i proclami, le tinte forti, privilegiando toni pacati e riflessivi. Ma ha comunque ben funzionato come strumento per valorizzare individualità portate a approfondire i temi teologici in sintonia con la linea indicata dal magistero. Molti dei teologi nominati vescovi e poi cardinali sotto il pontificato wojtyliano – compresi i tedeschi Karl Lehmann e Walter Kasper – provengono dalla “ragnatela” di Communio.
Nei primi anni ’90, il periodico dei lefebvriani italiani Sì sì no no ha pubblicato una serie di ritratti al vetriolo dei teologi di Communio che hanno fatto carriera, definendoli come «quelli che credono di aver vinto». Tra le stroncature lefebvriane spiccava quella dedicata a Ratzinger, definito «un prefetto senza fede alla Congregazione per la Fede».
I siluri tradizionalisti finora hanno fatto cilecca. L’ultima tornata di nomine vaticane rappresenta per certi versi la consacrazione definitiva della “generazione Communio“. Nessuno, comunque, canterà vittoria: a sconsigliare ogni autocelebrazione è lo stesso Joseph Ratzinger, ex animatore di Communio diventato successore di Pietro, che da teologo conosce bene le sabbie mobili in cui è facile cadere quando la teologia «viene dall’arroganza della ragione, che vuole dominare tutto, e fa passare Dio da soggetto a oggetto che noi studiamo, mentre dovrebbe essere soggetto che ci parla e ci guida» (San Bonaventura). Proprio gli ex sodali di Communio vennero messi in guardia dalle insidie del trionfalismo teologico dallo stesso Ratzinger già nel lontano maggio 1992, durante la sobria celebrazione per i primi vent’anni della rivista. «Mi brucia ancora nell’anima» disse quella volta l’allora prefetto dell’ex sant’Uffizio «la frase di Hans Urs Von Balthasar: «Non si tratta di bravura, ma ora come sempre di coraggio cristiano che rischia o si espone». Abbiamo avuto a sufficienza questo coraggio, oppure ci siamo rintanati piuttosto dietro erudizioni teologiche per dimostrare, un po’ troppo, che anche noi siamo all’altezza dei tempi? Non siamo forse rimasti anche noi per lo più all’interno dei circolo di coloro che con linguaggio specialistico si gingillano gettandosi la palla l’un l’altro?».

© Copyright Il Secolo d'Italia, 8 luglio 2010

1 commento:

Anonimo ha detto...

Non è che ci volesse molta arguzia a capire che il papa sceglie dei teologi coma collaboratori...sono cinque anni che fa nomine in tal senso!