giovedì 15 luglio 2010

«Cina-Vaticano: prove tecniche di pacificazione» (Paolo D’Andrea)


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Polanski è libero. Per un refuso. Il grandissimo editoriale de "L'Occidentale"

Naturalmente il NYT cita solo opinioni negative, criticando tra l'altro la competenza sul reato di ordinazione femminile, il mancato obbligo di denuncia universale, la mancata eliminazione totale della prescrizione. Miracolo: finalmente hanno capito che la competenza sugli abusi è passata alla CDF solo nel 2001 :-)

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Modificate le norme «de gravioribus delictis». Procedure più efficaci per contribuire alla chiarezza e alla certezza del diritto (O.R.)

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Celebrate a Roma le esequie del vaticanista Giuseppe De Carli (Radio Vaticana)

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Pubblicate le modifiche alle "Norme sui delitti più gravi". Le riflessioni di padre Lombardi e mons. Scicluna (Radio Vaticana)

Il Vaticano pubblica norme più severe contro i preti pedofili. La confidenzialità non significa nascondere qualcosa alle autorità civili (Izzo)

Don Di Noto: adesso nessuno potrà dire di non sapere. Nessuno potrà fare finta di niente. Dentro e fuori la Chiesa. Grazie, Papa Benedetto!

Introdotto il delitto di “captazione e divulgazione, commesse maliziosamente, delle confessioni sacramentali” (Bandini)

Ottima notizia: la CDF potrà indagare i cardinali sugli abusi sessuali e sui delitti gravi contro la fede...come l'eresia :-)

«Donne prete delitto gravissimo contro fede». Ma il Vaticano precisa: non può mai essere equiparato alla pedofilia

Nuove norme sui delitti più gravi: la preoccupazione di Damian Thompson (che condivido)

La Santa Sede ha pubblicato l'aggiornamento delle norme canoniche sui "delicta graviora" (Apcom)

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Pedofilia, Luca Volonté: il Papa conferma la tolleranza zero mentre la Svizzera libera Polanski

Giro di vite della Santa Sede sugli abusi: elevata la prescrizione, equiparati i malati psichici ai minori e introdotto il delitto di pedopornografia

Abusi sessuali, nuove norme dal Vaticano (Corriere)

Vaticano, nuove norme contro gli abusi sessuali (Avvenire)

Pedofilia, giro di vite in Vaticano (Repubblica)

MODIFICHE INTRODOTTE NELLE NORMAE DE GRAVIORIBUS DELICTIS: LE NUOVE NORME E LA LETTERA DELLA CDF AI VESCOVI ED AGLI ALTRI ORDINARI E GERARCHI INTERESSATI

LE NORME DEL MOTU PROPRIO “SACRAMENTORUM SANCTITATIS TUTELA” (2001): INTRODUZIONE STORICA A CURA DELLA CDF (da leggere ed imparare!)

Breve relazione circa le modifiche introdotte nelle Normae de gravioribus delictis riservati alla Congregazione per la Dottrina della Fede

Pubblicate le modifiche alle "Norme sui delitti più gravi": nota di padre Lombardi (Radio Vaticana)

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«È uscita dal coma con un sorriso». Socci e la «rinascita» della figlia

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L'incredibile "caso" Polanski ed i "due pesi e due misure" di mass media, politici ed intellettuali: fango sulla Chiesa, panegirici per il regista
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Riceviamo e con piacere e gratitudine pubblichiamo:

«Cina-Vaticano: prove tecniche di pacificazione»

Paolo D’Andrea

L'ultima notizia sulla Chiesa di Cina che ha davvero fatto il giro del mondo è stata il duplice assassinio del sacerdote Giuseppe Zhang e di suor Maria Wei, trovati ammazzati la mattina del 6 luglio nell’ospizio per anziani dove lavoravano, in una città della Mongolia cinese. I lanci d’agenzia più ripresi precisavano che i due assassinati appartenevano alla comunità cattolica cinese “clandestina” – la parte di Chiesa cinese che si sottrae al controllo della politica religiosa del regime di Pechino – evocando un legame tra il duplice omicidio e le “persecuzioni” subite da membri di quell’area ecclesiale. Poi si è scoperto che a massacrare i due poveretti è stato un ex seminarista che voleva vendicarsi della sua espulsione dal seminario. Ma la soluzione del tragico fatto di sangue è stata ignorata dai giornali. Così come non trova spazio in pagina – nemmeno sulla buon stampa cattolica – un’accurata analisi della vera novità che sta aprendo scenari inediti nei rapporti tra Cina popolare, Vaticano e Chiesa cattolica cinese: la raffica di nuove nomine di vescovi cinesi, quasi tutti giovani, consacrati col consenso convergente dei Palazzi d’Oltretevere e della nomenclatura di Pechino.
Il prossimo della lista dovrebbe essere Yang Xiaoting. La cerimonia della sua consacrazione come vescovo di Yulin, nella provincia dello Shaanxi, è stata annunciata per oggi, 15 luglio. Se tutto avverrà secondo le previsioni, Yang sarà il sesto vescovo ordinato in Cina negli ultimi 3 mesi dopo aver ricevuto la nomina e nel contempo anche l’approvazione del governo comunista cinese. Finora l’ultimo della serie era Antonio Xu Jiwei, consacrato vescovo della diocesi di Tazhou, nella provincia costiera dello Zhejian, soltanto sabato scorso. Che il Papa nomini i capi delle diocesi della Chiesa latina è prassi normale in tutto il mondo. Soltanto in Cina popolare il fatto che i nuovi vescovi siano provvisti del mandato papale prescritto dal Codice di diritto canonico rappresenta ancora una notizia.
Sulla questione delle nomine episcopali si avvertono ancora le scosse di assestamento del grande sisma che ha terremotato i rapporti tra la Santa Sede e la Cina maoista e post- maoista. Il regime comunista cinese ha sabotato per decenni i legami gerarchici e di comunione tra la cattolicità cinese e il vescovo di Roma, cercando di imporre meccanismi “democratici’ e “autogestiti” di selezione del corpo episcopale nazionale. Ma negli ultimi tempi i funzionari di Pechino manifestano un’indubbia discontinuità nella modalità di trattamento di questa delicata questione. A partire dallo scorso inverno, attraverso diversi canali riservati, da Pechino è stata recapitata Oltretevere una lista con i nomi di una ventina di sacerdoti segnalati come potenziali vescovi di altrettanti diocesi vacanti. Si trattava per la gran parte di preti già posti “sotto osservazione” dalla Santa Sede come possibili candidati alla guida delle proprie diocesi. I nuovi vescovi eletti dal 18 aprile ad oggi in varie province della Cina facevano tutti parte della lista. Le loro consacrazioni episcopali sono state celebrate dopo che da Roma aveva comunicato il proprio consenso e l’avvenuta nomina papale.
Secondo la rivista 30Giorni, le ultime ordinazioni di vescovi cinesi e quelle del prossimo futuro rappresentano altrettante «prove di collaudo di un possibile accordo-quadro provvisorio tra Cina popolare e vaticano sul tema delle nomine episcopali».
I punti chiave di un simile accordo li ha accennati sul Global Times – giornale in lingua inglese ispirato dal governo di Pechino – l’accademico Liu Peng, direttore dell’Istituto Pushi per le scienze sociali: attraverso meccanismi di selezione avviati in loco – come quello affidato alla consultazione fra i rappresentanti delle singole parrocchie – si fanno emergere dei nomi di potenziali candidati all’episcopato che ricevono tutti il gradimento del governo e che vengono sottoposti alla Santa Sede perché eserciti la scelta definitiva. Se alla Sede apostolica nessuno dei candidati segnalati dalla Chiesa locale appare adatto al ruolo di vescovo, i tempi di scelta vengono allungati e si prendono in considerazione altri nomi, con altri round di consultazione.
Come ulteriore segno distensivo, qualche giorno fa sono state sospese le misure di sorveglianza a cui era sottoposto da 15 mesi il 75enne Giulio Jia Zhiguo, vescovo di Zhengding nel mirino degli apparatnik locali per la sua volontà di sottrarsi ai condizionamenti della politica religiosa del regime. La liberazione di Jia era stata chiesta dal Vaticano negli incontri riservati tra rappresentanti della Segreteria di Stato vaticana e dell’apparato cinese che stanno lavorando alla normalizzazione dei rapporti tra Santa Sede e Cina popolare (l’ultimo mini-summit si è tenuto a Pechino, alla fine di maggio).
Gli elementi di novità implicati nella recente tornata di nomine episcopali si colgono in tutta la loro portata solo se si tiene conto di tutto il travagliato e complesso cammino della Chiesa cattolica nella Repubblica popolare cinese. Fin dagli anni Cinquanta la politica religiosa del regime comunista ha cercato di imporre ai cattolici una totale “autarchia” pilotata dal Partito, condensata negli slogan delle tre autonomie (autonomia di gestione, diffusione e finanziamento) che doveva sottrarre la Chiesa locale da ogni dipendenza canonica dal Vaticano, descritto come uno stato fantoccio dell’Imperialismo internazionale. Tale politica, affidata a organismi di autogoverno “democratico” controllati dal partito come l’Associazione patriottica dei cattolici cinesi, rispondeva anche a pulsioni ataviche della cultura cinese: la concezione confuciana già in epoca imperiale riservava il controllo delle pratiche religiose all’autorità civile. Il culmine di questo progetto, prima che arrivasse la persecuzione della Rivoluzione culturale, era stato rappresentato dalle consacrazioni episcopali “democratiche” realizzate a partire dal ’58, con meccanismi pilotati dalla governativa Associazione patriottica ma prive del mandato apostolico, cioè dell’approvazione di Roma. A partire dagli anni ’80, mentre il Vaticano autorizzava ordinazioni episcopali “clandestine” (cioè celebrate al di fuori del controllo del Partito) anche la gran parte di vescovi ordinati in maniera illegittima secondo i criteri di indipendenza imposti dal regime hanno chiesto e ottenuto dalla Santa Sede la legittimazione postuma del loro status canonico “irregolare”. Ma da parte cinese, fino a qualche anni fa, si registrava ancora un totale deficit di comprensione della natura propria – sacramentale e apostolica – delle ordinazioni episcopali, e si perseverava nel considerare i vescovi alla stregua di emissari di un “potere” straniero.
Se adesso le cose sembrano evolvere nel senso giusto, lo si deve a più di un motivo. Come ha spiegato in una recente intervista l’accademico cinese Ren Yanli, a Pechino si sono accorti che i vescovi eletti senza approvazione del Papa vengono isolati dai fedeli. Così, lentamente, anche i cervelli del partito hanno capito che per avere vescovi seguiti e rispettati conviene che essi siano nominati dal Papa. Ad aprire nuove prospettive ha contribuito anche la Lettera rivolta da Benedetto XVI ai cattolici cinesi nel giugno 2007. Sul nodo controverso delle nomine dei vescovi, quel documento ripeteva con insistenza che quella de successori degli apostoli è «un’autorità spirituale» che rimane «nell’ambito strettamente religioso. Non si tratta quindi di un’autorità politica, che si intromette indebitamente negli affari interni dello Stato e nel lede la sovranità». Si mostrava comprensione davanti al fatto «che le autorità governative siano attente alla scelta di coloro che svolgeranno l’importante ruolo di guide e di pastori delle comunità cattoliche locali» Si auspicava addirittura «un accordo con il governo per risolvere alcune questioni riguardanti la scelta dei candidati all’episcopato». Realismo, flessibilità e evangelica lungimiranza. Un solo punto veniva posto come irrinunciabile: il fatto che la guida pastorale della Chiesa sia esercitata dai vescovi, perché «la pretesa di alcuni organismi voluti dallo Stato di porsi al di sopra dei vescovi stessi e di guidare la vita della comunità ecclesiale non corrisponde alla dottrina cattolica».

© Copyright Il Secolo d'Italia, 15 luglio 2010

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