lunedì 8 febbraio 2010
Il Papa: Che cos'è l'umiltà? Le esperienze di Isaia, Pietro e Paolo (Zavattaro)
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Il Papa: "L’umiltà testimoniata da Isaia, da Pietro e da Paolo invita quanti hanno ricevuto il dono della vocazione divina a non concentrarsi sui propri limiti, ma a tenere lo sguardo fisso sul Signore e sulla sua sorprendente misericordia, per convertire il cuore, e continuare, con gioia, a "lasciare tutto" per Lui" (Angelus)
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BENEDETTO XVI - Che cos'è l'umiltà?
Le esperienze di Isaia, Pietro e Paolo
Fabio Zavattaro
Ancora la crisi; per la terza volta consecutiva, in una settimana, papa Benedetto torna a parlare della crisi i cui meccanismi, dice, esasperando la povertà, feriscono e offendono la vita. Forse è appena il caso di sottolineare come in questi ultimi tempi ci sia una grande sintonia nella Chiesa, nel laicato cattolico, sui temi della crisi, dell’occupazione, della povertà e degli aiuti alle famiglie. In una stagione in cui la politica sembra preoccuparsi di temi a volte lontani dai problemi quotidiani, la Chiesa mette al centro della sua riflessione la dottrina sociale e ripropone l’attenzione al bene comune, che può essere la chiave per governare i cambiamenti anche in tempo di crisi. Ma c’è un’ulteriore attenzione che trova eco nelle parole del messaggio per la Giornata nazionale per la vita, voluta dai vescovi italiani sul tema “La forza della vita, una sfida nella povertà”: la vita, dicono i vescovi, non può essere sacrificata al suo nascere in nessun caso, e occorre resistere alla sfiducia indotta dalla crisi. La vita, dunque, da proteggere, promuovere, aiutare.
Associandosi alle parole dei vescovi italiani, Benedetto XVI, dopo la preghiera mariana dell’Angelus, afferma che “nell’attuale periodo di difficoltà economica diventano ancora più drammatici quei meccanismi che, producendo povertà e creando forti disuguaglianze sociali, feriscono e offendono la vita, colpendo soprattutto i più deboli e indifesi”.
Proprio questa situazione difficile “impegna a promuovere uno sviluppo umano integrale per superare l’indigenza e il bisogno, e soprattutto ricorda che il fine dell’uomo non è il benessere, ma Dio stesso e che l’esistenza umana va difesa e favorita in ogni suo stadio. Nessuno infatti è padrone della propria vita, ma tutti siamo chiamati a custodirla e rispettarla, dal momento del concepimento fino al suo spegnersi naturale”.
C’è una testimonianza pubblica da dare, riconoscendo che nella storia Dio ha chiamato uomini fragili e peccatori per affidare loro la sua parola da annunciare.
È proprio la chiamata di Dio che, in questa quinta domenica del tempo ordinario, ci viene presentata, nelle letture attraverso le figure di Isaia, Simon Pietro e Paolo. Assume forme e modi diversi, la chiamata, perché si adatta all’uomo, ma sempre passa attraverso l’incontro con il suo volto, la sua parola. L’incontro con Dio cambia in profondità Isaia, che, al cospetto del Signore, “è preso da grande timore e dal sentimento profondo della propria indegnità. Ma un serafino purifica le sue labbra con un carbone ardente e cancella il suo peccato”, ricorda il Papa. Isaia si sente pronto a rispondere alla chiamata, cioè ad essere profeta.
Così in Simon Pietro la potenza della parola di Gesù provoca smarrimento, coscienza della propria povertà e del peccato: “Allontanati da me perché sono un peccatore”, gli dirà. Invece cosa fa Gesù: lo invita, nonostante una notte di pesca infruttuosa, a gettare nuovamente le reti. Pietro e i suoi compagni si fidano di quella parola e ottengono una pesca sovrabbondante. “Allontanati che sono un peccatore”, è la frase di Pietro che non esprime gioia per quella pesca ma smarrimento: sente il peso delle sue colpe. Proprio quel gesto, gettarsi alle gambe di Cristo, e quelle parole, allontanati sono un peccatore, trasformano Pietro che diventerà, per volere del Signore, pescatore di uomini.
In Paolo, infine, la conversione è ancora più radicale: “Ricordando di essere stato un persecutore della Chiesa, si professa indegno di essere chiamato apostolo”. Smarrimento e confusione per quella voce ascoltata sulla via di Damasco; ma anche consapevolezza che è in quella voce che si opera la conversione. “In queste tre esperienze – ricorda il Papa all’Angelus – vediamo come l’incontro autentico con Dio porti l’uomo a riconoscere la propria povertà e inadeguatezza, il proprio limite e il proprio peccato. Ma, nonostante questa fragilità, il Signore, ricco di misericordia e di perdono, trasforma la vita dell’uomo e lo chiama a seguirlo”.
C’è un’umiltà che Isaia, Pietro e Paolo hanno testimoniato, che è invito a “non concentrarsi sui propri limiti, ma a tenere lo sguardo fisso sul Signore e sulla sua sorprendente misericordia, per convertire il cuore, e continuare, con gioia, a lasciare tutto per lui”.
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