martedì 16 febbraio 2010

Ostensione delle spoglie dei Santi, Mons. Principe: “Attenti alla superstizione. Il culto per le reliquie non sostituisca quello per Dio” (Galeazzi)


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L’esperto del Vaticano: “Il culto per le reliquie non deve sostituire quello per Dio”

“Attenti alla superstizione”

GIACOMO GALEAZZI

CITTÀ DEL VATICANO

«Le ostensioni delle spoglie mortali dei santi e il culto delle reliquie fanno parte della nostra tradizione, però ora si corre il rischio di far sconfinare la devozione popolare in superstizione».

Monsignor Pietro Principe, da sempre stretto collaboratore del decano del collegio cardinalizio Angelo Sodano e autore di punta della Libreria Editrice Vaticana, riconosce che si tratta di «pratiche diffuse fin dalle origini del cristianesimo», «parte integrante della nostra storia», ma mette in guardia dalla tentazione di «compensare le chiese vuote con il boom degli happening religiosi». Attenti, avverte il teologo piemontese, a «scambiare il sensazionalismo miracolistico per fede autentica».

Come si concilia la venerazione delle reliquie con la Chiesa del terzo millennio?

«Il culto delle reliquie non va preso alla leggera. La ricerca dei luoghi di guarigione e le vicende dei santi svelano leggende, storie e tradizioni spesso sorprendenti e utili a focalizzare la natura umana. Ma al tempo stesso il culto delle reliquie è una materia delicata, da sottrarre all’irrazionalità di chi grida troppo facilmente al miracolo. Per questo entra in gioco la disciplina del codice di diritto canonico».

In che modo?

«Si possono onorare con culto pubblico solo quelle reliquie la cui veridicità sia stata certificata dall’autorità ecclesiastica ed è assolutamente illecito venderle. Pregare davanti al corpo di un santo o a una sua reliquia, significa ringraziare Dio che lo ha sostenuto nel cammino verso la santità. Il fine dell’adorazione, perciò, deve restare Dio. Approfondire storicamente il senso di questa devozione può anche portare alla scoperta di un senso della fede più autentico. Il culto delle reliquie, però, va distinto dai pellegrinaggi, mutati di fisionomia rispetto al Medioevo e con i santuari come meta».

Non è in contrasto con l’apertura alla modernità del Vaticano II?

«Il Concilio si è occupato anche delle reliquie. I santi sono venerati nella chiesa, secondo la tradizione, e le loro reliquie e immagini sono tenute in onore. Le feste dei santi proclamano le “meraviglie di Cristo nei suoi servi” e propongono ai fedeli opportuni esempi da imitare. Quindi la reliquia è la testimonianza viva di un santo o di un beato. E’ una realtà fisica che ha una relazione speciale con la grazia».

Quanti tipi di reliquie esistono?

«Due. Il primo tipo è costituito dal corpo e può essere concesso esclusivamente per culto pubblico (in una chiesa, in un oratorio, in un seminario). Il secondo tipo è rappresentato dagli indumenti o dagli oggetti che sono stati in contatto con il corpo di un santo, vivo o morto. Spesso le reliquie diventano veicoli del sacro, ma occorre inquadrare correttamente la loro funzione. In alcuni casi, come per l’ostensione delle spoglie mortali di Padre Pio, è affiorato il pericolo di un eccesso di devozione miracolistica».

Lei crede alle reliquie?

«Non sono fondamentali per credere, però possono essere un aiuto, dunque sì ci credo anche se la mia formazione kantiana privilegia altre forme di spiritualità. Soprattutto le trovo interessanti dal punto di vista storico. Per esempio le reliquie sono sempre messe in relazione con Roma, ma a Costantinopoli gli imperatori bizantini hanno conservato per secoli questi frammenti di sacralità al punto da ritenerli un antidoto contro le eresie».

E ai pellegrinaggi?

«Mi affascinano come esperienze religiose universali e come espressioni tipiche della pietà popolare. I santuari, in particolare, hanno spesso un simbolismo che li connette alla Bibbia e a personaggi come Abramo, Isacco, Giacobbe. Le ostensioni, invece, sembrano talvolta dei grandi spettacoli con uno scarso radicamento. E il valore autentico finisce in secondo piano rispetto ai grandi numeri dell’evento».

© Copyright La Stampa, 14 febbraio 2010

6 commenti:

Ben ha detto...

Mi lascia un po' perplesso la frase "la mia formazione kantiana...".
Ma Kant (scusate la mia ignoranza) non dice cose opposte alla filosofia di San Tommaso ?
Va bene che la filosofia cristiana è debitrice anche a Platone, e che San Tommaso non ha il monopolio della filosofia, però fra un po' i monsignori del vaticano diranno "la nostra formazione hegeliana ...".

Raffaella ha detto...

Concordo, carissimo Ben :-)
R.

Anonimo ha detto...

Quello che dice Mons. Pietro Principe è una sua posizione personale, e quindi non fa testo.

Anonimo ha detto...

Mons. Principe ha pienamente ragione.
Dando ai santi gli onori che si meritano, non è necessario esagerare nelle "carnevalate funebri", nelle quali non pochi fedeli partecipano più per rendere omaggio alle spoglie dei santi che a Dio. A mio avviso la Chiesa non dovrebbe esagerare in questo tipo di faccende, perché corre il rischio di essere tacciata di oscurantismo necrofilo dalla cultura moderna, sia atea, sia in parte cattolica. I cristiani credono alla resurrezione della carne e questo è ciò che conta; i corpi dei defunti, anche gloriosi, lasciamo riposare in pace, in attesa del ritorno di Cristo.

DonPa(olo) ha detto...

Monsignor Principe ha pienamente ragione. Posso assicurare che anche qui nella diocesi di Padova non è debole la perplessità dei fedeli sull'opportunità della splendida ostensione dello scheletro di Antonio "di" Padova e "da" Lisbona e qualcuno non esita a parlare di "necrofilia cattolica". Per parte mia ovviamente non condivido, mentre condivido il rischio denunciato dal giornalista e scrittore Leon Bertoletti in un suo memorabile intervento che vi ho proposto nei giorni scorsi di una "commercializzazione" dell'evento. Proprio oggi il telegiornale regionale di Rai3 ha titolato (maldestramente) "Gli affari del Santo" e proposto un vergognoso servizio su gadget antoniani. Ai giornali locali interessano invece i grandi numeri dell'evento. E la fede? Dispersa. (Non certo nei tanti pellegrini che accorrono con spirito sincero, ma poi si trovano in un tale mercato...). Pax et bonum.

Anonimo ha detto...

Non si può semplicemente affermare che Kant "dice cose opposte a san Tommaso", e non è certo questo il luogo per approfondire analogie e differenze tra le due filosofie, al di là delle riduzioni manualistiche. Il brevissimo cenno di Monsignor Principe, in una intervista non certo dedicata alla filosofia, non aiuta molto la comprensione. A mio avviso, tuttavia, il termine kantiano va inteso in senso lato, quasi metaforico e senza alcun riferimento agli architravi della filosofia di Kant. Monsignor Principe intende dire, credo, che la sua formazione non è stata all'insegna di aspetti devozionistici.