martedì 19 gennaio 2010
Chiese del Medio Oriente: testimoni di Gesù in una realtà con più ombre che luci (AsiaNews)
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VATICANO-MEDIO ORIENTE
Chiese del Medio Oriente: testimoni di Gesù in una realtà con più ombre che luci
Il documento di lavoro del Sinodo per il Medio Oriente delinea la situazione dei cristiani nella regione e le loro prospettive per il futuro. La vita nei Paesi musulmani, in condizione di non-cittadini e mentre cresce l’islam politico. La necessità del dialogo ecumenico. Le difficoltà dei cristiani che vivono nei Paesi arabi e rapporti con il mondo ebraico.
Città del Vaticano (AsiaNews)
Minoranze in Paesi che non capiscono, e non accettano, la libertà religiosa, divisi al loro interno, dalla fede “vacillante e perplessa”, i cristiani del Medio Oriente debbono riscoprire il loro ruolo di “testimoni” di Gesù, facendosi promotori di dialogo con ebrei e musulmani, del rispetto dovuto ai diritti dell’uomo e della pace, tanto necessaria alla regione. E abbandonando la tentazione del “ripiegamento su di sé e della paura dell’altro”. E’ la prospettiva con la quale guarda al futuro il documento di lavoro, i “Lineamenta” dell’assemblea speciale del Sinodo per il Medio Oriente, che si terrà dal 10 al 24 ottobre 2010, presentato oggi in Vaticano.
Il documento - di 28 pagine - intitolato “La Chiesa cattolica in Medio Oriente: comunione e testimonianza”, è stato redatto da un Consiglio presinodale composto da sette patriarchi, due presidenti di conferenze episcopali e quattro capi dicastero della Curia romana. Esso è un’analisi punto per punto della realtà nella quale vivono i cristiani della regione e delle prospettive della loro presenza. Ogni capitolo termina con una serie di domande poste alla riflessione dei “padri sinodali”.
Il quadro politico e sociale che viene tratteggiato presenta decisamente più ombre che luci. “L’occupazione israeliana dei Territori palestinesi rende difficile la vita quotidiana per la libertà di movimento, l’economia e la vita religiosa”; “in Iraq la guerra ha scatenato le forze del male” e “i cristiani sono stati tra le vittime principali in quanto rappresentano la comunità irachena più esigua e debole”; in Libano “i cristiani sono profondamente divisi sul piano politico e confessionale e nessuno ha una progetto che possa essere accettato da tutti”; in Egitto “la crescita dell’islam politico da una parte e il disimpegno dei cristiani nei confronti della società civile rendono la loro vita esposta all’intolleranza, alla disuguaglianza e all’ingiustizia”; in Turchia “il concetto attuale di laicità pone ancora dei problemi alla piena libertà religiosa del Paese”.
Tutto ciò in un quadro generale che da una parte vede la crescita dell’islam politico e dall’altra il disinteresse del mondo. Il primo, in una regione ove la fede musulmana è largamente maggioritaria, “vede la causa di tutti i mali nell’allontanamento dall’Islam”. “La soluzione, quindi, è il ritorno all’Islam delle origini”. “A questo scopo alcuni non esitano a ricorrere alla violenza”. “Tali correnti estremiste sono una minaccia per tutti, cristiani e musulmani, e noi dobbiamo affrontarle insieme”. Quanto alla seconda, “nel gioco delle politiche internazionali, si ignora spesso l’esistenza dei cristiani”.
Ad aggravare ulteriormente il quadro c’è il fatto che “troppo spesso i nostri Paesi identificano l’Occidente con il Cristianesimo”, per cui “le scelte politiche degli Stati occidentali sono addebitate alla fede cristiana”. “Tale confusione, che si spiega con il fatto che il mondo musulmano non distingue facilmente tra aspetto politico e religioso, nuoce grandemente alle Chiese della regione” e “mette i cristiani nella situazione delicata di non-cittadini”. La confusione tra politica e religione porta anche alla proibizione da parte degli ordinamenti statali della conversione a una religione diversa dall’islam. “La libertà religiose e quella di coscienza, sono sconosciute nella mentalità musulmana”. “Nell’Islam non c’è laicità, ad eccezione della Turchia; l’Islam è, in generale, religione di Stato, principale fonte della legislazione, ispirata dalla sharia”.
Quanto all’altra grande fede della regione, “vista la situazione politica conflittuale tra palestinesi e mondo arabo da una lato e Stato di Israele dall’altro, il dialogo è poco sviluppato nelle Chiese della regione. I rapporti con l’ebraismo sono la peculiarità delle Chiese di Gerusalemme”. Esistono però “molteplici associazioni di dialogo ebraico-cristiano”. Sul piano teologico “è opportuno spiegare ai nostri fedeli il legame religioso esistente tra Giudaismo e Cristianesimo, fondato sul legame tra Antico e Nuovo Testamento, per evitare che le ideologie politiche arrivino a intaccare questo rapporto”. Quanto al piano politico propriamente detto, “spetta a noi, come cristiani, incoraggiare ogni pacifico mezzo che possa condurre alla pace attraverso la giustizia”.
Questa la realtà “esterna” nella quale vivono le Chiese, tutte le molteplici Chiese (solo le cattoliche sono sette) della regione. Una delle prime questioni, allora, riguarda la convivenza, la collaborazione tra cristiani. “I rapporti sono generalmente buoni e amichevoli”, anche se esistono “alcune difficoltà” di ordine pastorale, come la pretesa di alcuni Chiese che in caso di matrimonio misto pretendono di battezzare di nuovo il coniuge cattolico o le “difficoltà insormontabili” che si oppongono alla unificazione delle date della celebrazione del Natale e della Pasqua o i “rapporti difficili” nei Luoghi Santi. Ciò malgrado, “la dimensione ecumenica è fondamentale, affinché la testimonianza cristiana sia autentica e credibile”.
Testimoniare è la chiave che i “Lineamenta” indicano come risposta. Si chiede “una conversione personale dei cristiani, ad iniziare dai pastori, mediante un ritorno allo spirito del Vangelo”. Le Chiese del Medio Oriente “sono attive: numerosi sono i progetti, molti i movimenti dei giovani, molte le istituzioni educative e caritative, ecc. A volte queste attività sono professionalmente efficaci, ma non sempre sono una testimonianza”.
In conclusione, “la nostra situazione attuale, di presenza piuttosto ridotta, è una conseguenza della storia. Ma noi, con il nostro comportamento, possiamo migliorare il nostro presente e anche il futuro. Da una parte, le politiche mondiali sono un fattore che influirà sulla nostra decisione di restare nei nostri Paesi o di emigrare. Dall’altra, l’accettazione della nostra vocazione di cristiani nelle e per le nostre società sarà un fattore principale della nostra presenza e testimonianza nei nostri Paesi”. (FP)
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