venerdì 18 giugno 2010

La cricca e gli intrecci con Propaganda Fide nel commento di Giacomo Galeazzi


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Duemila appartamenti nella capitale, amicizie, favori a politici e «grand commis». Nelle stanze di «Propaganda Fide» si sono intrecciate relazioni di potere e conclusi affari sui quali la magistratura italiana vuole vederci chiaro. Uno scenario a tinte fosche che mal si adatta al ministero che sovrintende alla Chiesa povera del Terzo Mondo e si occupa, per conto del Papa, dei missionari cattolici sparsi in ogni angolo del pianeta.
Quel che è certo è che per anni nel dicastero delle Missioni non si è mossa foglia senza che non lo volessero i due «consultori» Francesco Silvano, braccio destro del cardinale Sepe al comitato organizzatore del Giubileo e Angelo Balducci, provveditore delle opere pubbliche per il Lazio e gentiluomo di Sua Santità. Un «direttorio» privo di controlli burocratici della Santa Sede e capace di muoversi al massimo livello sulle due sponde del Tevere grazie alla natura «bifronte»: al contempo italiana e vaticana.
La «task force» targata Sepe contava su una cintura di fedelissimi nei posti giusti come Pasquale de Lise, presidente aggiunto del Consiglio di Stato e direttore della Commissione tributaria centrale, l’avvocato dello Stato Ettore Figliolia (capo dell’ufficio legislativo del vicepremier Francesco Rutelli nel secondo governo Prodi e presidente in tre arbitrati per contenziosi su grandi opere pubbliche) e monsignor Francesco di Muzio, esponente di primo piano dell’Opus Dei e responsabile amministrativo di «Propaganda Fide». Un blocco di potere capace di far passare di mano palazzi nel centro di Roma. Nel grande business del mattone ecclesiastico, nulla sfuggiva ai «Sepe boys».
E’ Silvano, per esempio, a firmare i contratti con la Cnn e gli altri network stranieri che per le dirette televisive si contendono a suon di dollari le terrazze della congregazione vaticana.
«Finché sul soglio pontificio sedeva Karol Wojtyla, Crescenzio Sepe era un intoccabile», spiegano Oltretevere, anche perché era protetto della sua potentissima conterranea madre Tekla Famiglietti, superiora delle Brigidine, molto apprezzata dal segretario papale Stanislao Dziwisz anche per la capacità di procurare ingenti offerte alle casse vaticane.
Da «numero tre» della Segreteria di Stato, segretario della congregazione per il Clero e soprattutto organizzatore del Giubileo, acquista meriti che gli valgono nel 2001 la porpora e la promozione a «Propaganda Fide», dicastero strategico della Santa Sede poiché gode di ampia autonomia. Come «Papa rosso», così viene chiamato il ministro delle Missioni, controlla la nomina dei vescovi destinati in Africa, Asia e parte dell’America Latina (un terzo delle 2.800 diocesi del mondo). E gestisce una notevole quantità di denaro, come i proventi delle collette nelle parrocchie per le giornate missionarie. In più ci sono i nove miliardi di patrimonio immobiliare, incamerato nel tempo (soprattutto a Roma e provincia) grazie a donazioni e lasciti di chi vuole sostenere l’evangelizzazione del Terzo Mondo. Quasi sempre in zone di pregio (come il palazzetto a via dei Prefetti venduto all’ex ministro Lunardi). E’ lì che Sepe fa fruttare il sistema e la squadra di manager collaudati nel grande cantiere dell’Anno Santo.
Per 5 anni tutto funziona alla perfezione fino al cambio di pontificato. Poi, in pochi mesi la «squadra» perde leader (Sepe viene trasferito a Napoli) e «patrono» (Dziwisz torna a Cracovia da arcivescovo).
Il cardinale casertano che sognava la poltrona di Segretario di Stato è scavalcato da Tarcisio Bertone che scende a Roma portandosi da Genova il proprio «team». All’ospedale pediatrico del Vaticano, al «Sepe boy» Silvano subentra il bertoniano Giuseppe Profiti e il ministero delle Missioni finisce nello «spoil system» del nuovo corso.
Benedetto XVI nomina prefetto l’indiano Ivan Dias che però, per problemi di salute, non riesce ad assumerne effettivamente il controllo. La «notte» della congregazione non accenna a farsi giorno. Finché non arrivano i pm di Perugia. «La responsabilità è personale». Per «respingere fango e ombre da un organismo fondamentale della Santa Sede che da quattro secoli coordina e sostiene le missioni cattoliche in tutto il mondo», la linea del Vaticano è netta e risuonano nelle Sacre Stanze le parole «discontinuità», «assunzione di responsabilità», «risanamento». Nel Palazzo Apostolico creano «sconcerto e preoccupazione» i riflessi negativi e si prendono le distanze dagli «eventuali illeciti che le autorità competenti devono accertare e perseguire». Insomma, nessuna copertura né difesa ad oltranza per la gestione degli immobili durante il quinquennio a «Propaganda Fide» del cardinale casertano. Al posto dell’onesto ma poco incisivo Dias, Benedetto XVI vuole un «Papa rosso» che sappia traghettare fuori dagli scandali immobiliari. Intanto allarmano i possibili sviluppi dell’inchiesta di Perugia e in Curia si richiamano alla mente i tempi bui del crack Ambrosiano quando «davanti agli ingressi vaticani c’erano le auto della polizia italiana con il mandato di arrestare l’arcivescovo Marcinkus non appena avesse messo piede fuori».

© Copyright La Stampa, 18 giugno 2010 consultabile online anche qui.

5 commenti:

euge ha detto...

E’ Silvano, per esempio, a firmare i contratti con la Cnn e gli altri network stranieri che per le dirette televisive si contendono a suon di dollari le terrazze della congregazione vaticana.
«Finché sul soglio pontificio sedeva Karol Wojtyla, Crescenzio Sepe era un intoccabile», spiegano Oltretevere, anche perché era protetto della sua potentissima conterranea madre Tekla Famiglietti, superiora delle Brigidine, molto apprezzata dal segretario papale Stanislao Dziwisz anche per la capacità di procurare ingenti offerte alle casse vaticane.
Da «numero tre» della Segreteria di Stato, segretario della congregazione per il Clero e soprattutto organizzatore del Giubileo, acquista meriti che gli valgono nel 2001 la porpora e la promozione a «Propaganda Fide», dicastero strategico della Santa Sede poiché gode di ampia autonomia. Come «Papa rosso», così viene chiamato il ministro delle Missioni, controlla la nomina dei vescovi destinati in Africa, Asia e parte dell’America Latina (un terzo delle 2.800 diocesi del mondo). E gestisce una notevole quantità di denaro, come i proventi delle collette nelle parrocchie per le giornate missionarie. In più ci sono i nove miliardi di patrimonio immobiliare, incamerato nel tempo (soprattutto a Roma e provincia) grazie a donazioni e lasciti di chi vuole sostenere l’evangelizzazione del Terzo Mondo. Quasi sempre in zone di pregio (come il palazzetto a via dei Prefetti venduto all’ex ministro Lunardi). E’ lì che Sepe fa fruttare il sistema e la squadra di manager collaudati nel grande cantiere dell’Anno Santo.

E siamo sempre punto e a capo.......
Gira che ti rigira i nomi sono sempre quelli!

Anonimo ha detto...

Con rispetto oparlando, la vicenda mi fa venire il voltastomaco.

Anonimo ha detto...

Se la situazione è come la dipinge Euge e io non ne dubito, PERCHE' card. Sepe è stato solo trasferito a Napoli e non cacciato, laicizzato?

Questa è la Chiesa di Cristo fondata sul Suo Vangelo sempre o lo è solo quando non ci sono giochi di potere e di denaro?

Jacu

Anonimo ha detto...

Jacu, attendiamo l'esito della indagine da parte della Santa Sede e poi staremo a vedere.

Anonimo ha detto...

E' ora che i mercanti vadano fuori dal tempio.